Cassazione: no alla giustizia fai da te dei genitori. Stampa
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Notizie - Quid Juris
Lunedì 08 Ottobre 2012 16:53

Stanco delle prepotenze che il figlio undicenne subiva da un ragazzino di due anni più grande, un padre si era fatto giustizia da solo portando il bullo a chiedere scusa in ginocchio alla vittima

Raffaello Binelli - ilgiornale.it

D'ora in avanti chi si imbatterà in un bullo che importuna il proprio figlio dovrà studiarsi bene l'ultima sentenza della Cassazione per evitare di finire nei guai.

Chiedere, anzi esigere le scuse potrebbe costarvi caro, molto caro. Ma vediamo prima cosa è accaduto.

Stanco delle continue prepotenze che il figlio undicenne subiva in palestra da un altro ragazzino, più grande di due anni, un padre si è presentato dal bulletto e, alzando la voce e con qualche minaccia, lo ha costretto a chiedere scusa in ginocchio alla sua vittima. Non contento gli ha rifilato pure due schiaffi. La storia è finita in tribunale. Il Tribunale di Forlì ha riconosciuto colpevole l'uomo e gli ha inflitto tre mesi di carcere, convertiti in 3.420 euro di multa. La Corte di appello di Bologna il 26 ottobre 2010 lo ha condannato per violenza privata e percosse. Ora la Cassazione ha confermato la multa di 3.420 euro con condanna a risarcire il "trauma psichico" patito dal bullo. Poi ha ribadito che "punizione e rieducazione" non spettano ai genitori delle vittime e che i modi bruschi usati dal padre esasperato sono fuori dalle "regole della civiltà".

Paolo D.I. (52 anni) non ne poteva più sentire le lamentele del figlio, vessato e importunato dal mini stalker. Dopo l’ennesima angheria è andato a prendere il bullo ed ha imposto le scuse a suo figlio. Poi gli ha rifilato due schiaffi intimandogli che una cosa del genere non si doveva più ripetere.

La Cassazione ritiene la pena "calibrata e commisurata alla gravità del danno cagionato al minorenne". Secondo i supremi giudici - sentenza 39499 - la sua "persona è stata sicuramente sconvolta e alterata, sul piano psichico, dalla condotta reiteratamente violenta, sotto tutti i profili, dell’imputato, proiettata verso un obiettivo di punizione e rieducazione, assolutamente al di fuori della sua competenza ed estranea alle regole di civiltà che sempre e comunque devono vincolare le azioni e le reazioni dei cittadini". 

Secondo i magistrati con l’ermellino "per rimediare alla incresciosa situazione" il padre aveva una sola strada - "una singola e civile prospettiva decisionale e operativa" - quella di "rivolgersi, in maniera tempestiva ed efficace, ai gestori del centro sportivo per l’adozione delle necessarie misure preventive e punitive". Per la Cassazione, la scelta di "agire con molteplice violenza sul giovane e immaturo tredicenne non è stata assolutamente necessitata". Ineccepibile, in punta di diritto. Di certo il genitore ha esagerato. Resta il fatto che il bulletto-persecutore, che ha ottenuto il risarcimento e pure l'etichetta di vittima, alla fine l'ha fatta franca.