Ecco chi saranno i giudici dei Marò Stampa
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Notizie - Quid Juris
Giovedì 13 Agosto 2015 20:49

“Non rattristatevi, signori ufficiali, di fronte al difficile cammino che vi toglie patria e fede. Non scoraggiatevi, Poruchik (tenente) Golitsyn, su con gli occhiali e le cartucce. Non chiedetevi perché proprio a noi tocchi di andare in terra straniera”. Poruchik Golitsyn è il noto personaggio di due canzoni dell’armata bianca russa (l’omonima e Ne grustit), colto negli ultimi 4 giorni della sconfitta nella guerra civile contro i bolscevichi.

Invece Vladimir Vladimirovich Golitsyn è un giurista russo di stampo sovietico, presidente del Tribunale internazionale per il diritto del mare, chiamato a giudicare una volta per tutte (forse) la vertenza italo-indiana sui 5 anni di calvario indiano subito dai marò Girone e Latorre (Giro&Là).

L’Itlos di Amburgo non è, come si ripete erroneamente agenzia Onu, ma il frutto della convenzione sul mare dell’80, i cui Stati aderenti eleggono i giudici, oggi divisi tra 3 americani, 5 asiatici, 5 africani e 7 europei, più l’indiano Chandrasekhara Rao. Giudici italiani non ce ne sono ed è meglio così. L’ultimo, fino al 2011, Treves, sulla linea delle amiche del giaguaro, le ex ministresse degli esteri Bonino e Mogherini, ha contrastato il ricorso al suo Itlos perché “l’India non ne accetta la giurisdizione”. Posizione che lascerebbe Giro&Là alla discrezione della giustizia indiana incapace in 5 anni di emettere un atto di accusa. Roma, al momento di inviare il suo esperto ad Amburgo, si è guardata bene dal chiamarlo.

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Il diritto internazionale non ha carabinieri se non quelli degli interessi dei paesi meglio armati. Si può firmare la convenzione del mare, nata fuori dall’Onu, e non ratificarla, come hanno fatto gli Usa. Si può preferire, come dice il Pm governativo indiano Narsimha, la convenzione marittima Onu e relativa Corte permanente di arbitrato dell’Aja, riconoscendo l’Itlos solo per misure provvisorie. Magari tenendovi lo stesso un giudice dentro. Infine, come voleva Treves, si può invocare un tribunale ad hoc ex Convenzione di Montego Bay. Si può fare di tutto, l’importante è avere la forza per farlo. L’India, che rapì Giro&Là in acque internazionali e minacciò il sequestro dell’ambasciatore italiano, ce l’ha. Dopo il dibattito del 10 ed 11 agosto di Amburgo, Golitsyn ha rimandato la sentenza al 24 c.m., lasciando in tutti il dubbio se questa potrà prevalere sulla forza. Difficile che l’India, paese bellicoso e stragista, accetti la sconfitta legale in streaming.

Nello scontro delle tesi, il ministro Gentiloni si è affidato ai baronetti Betlehem e Wood, entrambi in odore di Circus e fino a ieri (e ieri l’altro) procuratori del minEsteri britannico. Il primo è stato definito un “terribile vuoto morale dell’establishment UK” per filo interventismo militare; il secondo voleva portare Blair alla sbarra. Come dire, un duo Ghedini-Bocassini, fumo di Londra. E non finisce qui. A difendere gli italiani ci sono anche gli ex PM indiani Soli Sorabjee e Tulsi.

L’80enne Soli, che ha dato il suo nome nel 2005 al comitato per la difesa dei diritti umani, arrivò alla Corte Suprema mentre Indira Gandhi faceva guerra al Pakistan; fu Pm, come il Narsimha di oggi, sotto Rajiv Gandhi che per i missili nucleari subì le sanzioni Usa; infine venne mandato all’Onu, mentre Sonia Gandhi si candidava al posto del marito assassinato tra stragi ed autobombe. Il suo partner, il giurista sikh Tulsi, indagò sull’omicidio del premier Rajiv nell’India del ritiro militare dallo Sri Lanka e difese il figlio adottivo di Sonia Gandhi. Insomma, due gandhiani spiccicati del partito del congresso che purtroppo ha perso di brutto le ultime elezioni presidenziali.

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Non a caso Sorabjee ha definito il governo indiano “degno di retaggio feudale” mentre Tulsi si rifiutò di rappresentare lo stato da cui proviene l’attuale presidente Narendra Modi. Con loro l’Italia pagava anche il costoso avvocato Rohatgi ma un anno fa, nel processomercato, Modi l’ha sfilato dal team con la nomina a procuratore generale. Con lui, Narshima, per l’India, schiera due pezzi da novanta al quadrato, il francese Pellet, che non solo condannò Milosevic ma che è anche membro del vero governo di Internet, l’Icaan; e l’americano Bundy, l’avvocato delle sette sorelle del petrolio.

L’Italia doveva scegliere la via di Amburgo da tempo e meraviglia il tempo che ci ha messo per decidersi. Aveva già stupito d’altronde quando in un lampo aveva pagato 290mila euro alle famiglie dei due pescatori del Kerala della cui morte sono accusati ufficiosamente i marò. Un pagamento non richiesto, né richiedibile che suonò stonata ammissione di colpa del governo Monti.

Cui seguirono 800mila di cauzione per liberare i nostri dal carcere di Thiruvananthapuram. Fattasi la bocca con il primo milione, i legali indiani (Rohatgi, studio Titus e Salve) ne hanno sfilato a Monti, Letta e Renzi altri 4,5. Senza neanche risparmiarsi la scena delle dimissioni, fatta da Salve nel 2013, quando Roma voleva trattenere i marò in Italia. Il Viminale a latere ha speso 2 milioni in legali, detective e missioni. Ed Amburgo raddoppierà il conto, poiché gli inglesi costano come anche il contorno nostrano dei prof e avvocati Verderame, Tanzi, Busco e Caracciolo.

L’Italia di destra e di sinistra di solito combatte i sequestri con il portafoglio. 20 milioni solo per le ultime volontarie, un pò peggio per prelati, militari e fessi non fitting. Nel caso Giro&Là, però, invece dei sequestratori ha pagato i loro avvocati. E’ questo il rimprovero sottinteso di Nuova Dehli che attende solo un lauto compromesso per non perdere la faccia.

Fonte: http://ilgiornaleoff.ilgiornale.it/2015/08/13/igiudici-dei-maro/

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