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Beccalossi - Donbass: pressante interrogatorio al posto di frontiera PDF Stampa E-mail
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Notizie - Cronache
Mercoledì 17 Maggio 2023 12:06

Reportage dal Donbass in guerra

    30 gennaio 2023


Pressante interrogatorio al posto di frontiera


Parlamento Repubblica Popolare di Donetsk

 

Vittorio Nicola Rangeloni (a sinistra) e Claudio Beccalossi a Donetsk



Posto di frontieria tra Repubblica Popolare di Donetsk e Federazione Russa


   Le ultime foto a Donetsk - Al mattino, prima di partire su un minivan diretto alla demarcazione  con la Russia assieme ai colleghi giornalisti di Serbia e Bosnia Erzegovina, ho scattato ultime foto nei paraggi dell’Hotel “Central”, soprattutto al Palazzo del Consiglio Popolare (parlamento) della Repubblica Popolare di Donetsk, in piazza Lenin. Nessuno ha ancora provveduto a rimediare alle tacche impresse sulla sua facciata, procurate da schegge di proiettili d'artiglieria e razzi sparati a metà luglio 2022 dalle forze armate ucraine nel pieno centro della città. Sono rimaste lì, a testimonianza dell’efferatezza pianificata nei confronti di obiettivi esclusivamente civili, ennesima vigliaccheria assassina santificata dall’Occidente. Tra le colonne, in quell’attacco, era rimasta uccisa una donna.

   Al confine con la Russia - Attorno a mezzogiorno e dopo il commiato dal reporter di verità Vittorio Nicola Rangeloni, abbiamo lasciato la città sulle rive del fiume Kal’mius in direzione d’uno dei confini (Uspenka?) tra la Repubblica Popolare di Donetsk e la Russia. Scesi dall’automezzo, ci siamo incamminati con i nostri trolley nella “terra di nessuno”, verso la palazzina del posto di frontiera per il disbrigo delle formalità doganali.

   Interrogati uno alla volta - Al controllo dei passaporti, però, l’addetto, constatate le nostre nazioni d’appartenenza, ci ha intimato di metterci in disparte per ulteriori accertamenti.

   Dopo un po’, infatti, da locali interni è uscito un militare (non so se della Repubblica Popolare o della Russia) che ci ha fatto accomodare in uno stretto corridoio con qualche sedia in attesa d’essere interrogati in ufficio uno alla volta.

   Se Darinka e Nataša, padrone della lingua russa, hanno potuto destreggiarsi bene nel dialogo e Mihailo, pur non parlando il russo, s’è comunque avvalso del “ponte veicolare” delle due sue colleghe ed amiche, io, non conoscendo il russo e nemmeno il serbo ed arrangiandomi con l’inglese, ho iniziato a preoccuparmi per imprevisti d’interpretazione che, nell’ipotesi peggiore, mi avrebbero bloccato lì, non so se di competenza territoriale della Repubblica Popolare di Donetsk (non riconosciuta dal governo italiano e, perciò, senza alcuna rappresentanza diplomatica che, in qualche modo, potesse intervenire in mio aiuto, se avvisata in merito) o della Russia.

   Intoppo linguistico in agguato - Comunque, dopo la bosniaca Darinka e la serba Nataša, è entrato nella stanza l’altro serbo Mihailo, supportato nel dialogo dalle prime. Poi, è stato il mio turno. Mi sono trovato davanti due funzionari in borghese che non si sono presentati e non posso dire, di conseguenza, se siano stati militari, poliziotti, agenti d’intelligence dei governi di Donetsk o di Mosca.

   L’intoppo, come precedentemente intuito, è stato in agguato per il fatto che nessuno dei due ha saputo esprimersi in un minimo inglese. Me ne sono stato seduto davanti a loro, l’uno di fronte a me col mio passaporto tra le mani e l’altro in piedi, in nervoso camminare avanti ed indietro nel locale.

   Il primo s’è rivolto a me in russo e con qualche stiracchiata parola in inglese. Non riuscendo a farmi comprendere ho chiesto l’intervento di Darinka che, oltre a parlare la lingua madre ed il russo, s’è messa a disposizione col suo inglese. M’ha così girato in inglese le domande in russo del funzionario, io ho replicato in inglese e lei ha tradotto in russo per l’interlocutore.

   Fuoco di fila di domande - Nonostante che i documenti (tessera dell’Ordine dei giornalisti italiano ed il pass stampa rilasciato dalla Repubblica Popolare di Donetsk) abbiano dimostrato la mia attività, il funzionario m’ha chiesto in quali posti sono stato, cosa penso della guerra e del regime ucraino, se ho contatti con unità speciali o servizi segreti italiani.

   Ho accennato ai miei referenti dei ministeri degli Affari esteri e della Difesa a Mosca (mittenti dell’invito personale al press tour nel Donbass) ed ho mostrato, ad ulteriore dimostrazione della mia buona fede, il biglietto aereo di ritorno (da Mosca ad Istanbul e da lì a Milano-Malpensa) inviatomi al cellulare.

   M’ha domandato come noi italiani (noi, non loro, i russi, sic) stiamo affrontando le conseguenze delle sanzioni applicate dall’Occidente nei confronti della Russia. Gli ho accennato alla crisi economica in atto, all’aumento di bollette del gas, dell’energia elettrica, della benzina, dei beni primari.

   “Good luck!” - Alzatosi in piedi, m’ha riconsegnato il passaporto con un laconico “good luck!”, forse per indulgenza nei confronti d’un italiano “suddito”, suo malgrado, d’un governo autolesionista, allineato ad interessi soprattutto anglosassoni estranei ad obiettivi e trattative verso la pace. Governo col paraocchi che “ha visto l’invasione russa dal 24 febbraio 2022” e non i massacri di filorussi e russofoni, non solo a Donetsk e Lugansk, dal 2014 ad opera dell’autoritarismo di stampo neonazista e fratricida di Kyïv.

   Usciti e (almeno io) tirato un sospiro di sollievo, siamo andati verso il minivan a lungo in nostra attesa. Dopo esserci sistemati nell’angusto spazio con i nostri bagagli, l’autista è partito verso la direttrice Voronez-Mosca, arrivando alla periferia della capitale alle ore 5:00 circa d’un gelido 31 gennaio. Il premuroso Andrei è venuto a prenderci con due taxi per ricondurci all’Hotel “Vega”, da noi lasciato il 22 gennaio.

   Crampi di malinconia - In attesa del giorno del volo di rientro in Italia ho rimesso a punto il materiale giornalistico raccolto e rifatto un paio di puntatine nell’Izmaylovskiy Bazar deserto, senza la sua brulicante attività. E mi sono addentrato nel vicino Izmajlovskij Park (Parco d’Izmajlovo) coperto di neve.

   Il 2 febbraio, infine, ho lasciato la Russia. Dall’aeroporto di Mosca-Vnukovo a quello di Istanbul-Havalimani e, da qui, a Milano-Malpensa. Con qualche crampo di malinconia per quanto visto e documentato, di censurata guerra straziante e di belluina falsificazione occidentale. 

 

Servizio e foto di

Claudio Beccalossi

 



Ultimo aggiornamento Mercoledì 17 Maggio 2023 17:41
 

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