Immigrazione, un problema per l´Europa |
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Martedì 26 Luglio 2022 16:11 |
POLITICA / Mauro Indelicato L’immigrazione è uno dei temi più caldi all’interno del contesto politico dell’Unione Europea. Il dibattito spesso ha innescato alcune delle maggiori frizioni e divisioni tra i Paesi comunitari, rallentando e di molto il processo decisionale volto a stabilire norme e regolamenti in grado di andare incontro alle esigenze dei vari governi. Soprattutto di quelli più esposti al fenomeno migratorio, tra cui l’Italia. L’immigrazione è quindi una sfida importante per capire la stabilità dell’Ue e per comprendere fino a che punto l’Europa riesce a dare significative risposte ai fenomeni più avvertiti dagli Stati nazionali e dalla popolazione. Perché l’immigrazione rappresenta un problema per l’EuropaI numeri possono dire molto sull’attuale impatto dell’immigrazione sull’Europa, ma al tempo stesso possono anche dare ben pochi riferimenti. Le fredde cifre parlano di un trend in costante aumento delle richieste di asilo presentate all’interno del territorio comunitario. A partire dal 2014, il dato in questione ha sforato il mezzo milione di richieste, con unica eccezione nel 2020, primo anno della pandemia. Tra il 2015 e il 2016 si è avuto il picco, con rispettivamente 1.322.000 e 1.266.000 migranti che hanno richiesto asilo in Europa. Cifre importanti, scese negli anni successivi ma mantenutesi piuttosto alte. Nel 2021 il dato ha toccato quota 630.890. Numeri che si sono spesso dimostrati di difficile gestione, anche perché occorre aggiungere anche quelli relativi ai migranti arrivati nel Vecchio Continente e rimasti senza documenti o senza presentare domande di asilo. Solo in Italia, si calcola la presenza di oltre mezzo milione di immigrati irregolari. Il problema però è molto più vasto rispetto a quanto raccontato dalle cifre. In primo luogo perché diversa è la percezione del fenomeno tra le varie parti d’Europa. Nella sponda mediterranea la preoccupazione relativa agli sbarchi è da anni molto sentita ed è tra i nodi centrali del dibattito politico. Un discorso simile può essere fatto, soprattutto con riferimento agli ultimi dieci anni, per i Paesi dell’est Europa, quelli che condividono le frontiere esterne con l’area balcanica. Questi ultimi appaiono poco inclini ad accettare quote di richiedenti asilo provenienti da altri Stati dell’Ue o da Paesi terzi confinanti. Diversa invece la situazione nell’Europa centrale e settentrionale, lì dove il problema migratorio ha iniziato a essere avvertito solo negli ultimi anni, in particolar modo dopo il biennio 2015/2016. Il nodo mai sciolto del trattato di Dublino Un'importante svolta sul fronte immigrazione è arrivata all'inizio degli anni '90 del secolo scorso. L'Europa in quel momento, contrassegnato dalla caduta del muro di Berlino, dalla fine dell'Urss e quindi dal potenziale arrivo di milioni di persone da est, ha compiuto una precisa scelta politica. Favorire cioè l'immigrazione da est, chiudendo di fatto le porte ai flussi provenienti da sud. Non è forse un caso che i primi sbarchi di migranti con i barconi a Lampedusa sono datati 1992. Sempre in quegli anni, le istituzioni comunitarie si sono anche dotate di un regolamento sull'immigrazione. Quello poi rimasto agli annali come "trattato di Dublino", dal nome della città in cui è stato firmato. Si tratta di un documento che ha fissato, tra le altre cose, un preciso caposaldo della politica dell'Ue sull'immigrazione: il Paese di primo approdo è anche il Paese che ha l'onere dell'accoglienza del migrante e dell'esame della sua domanda di asilo. All'epoca i numeri degli sbarchi erano decisamente più ridotti. Quando poi la situazione è diventata molto più preoccupante, sia in termini di cifre che di percezione del fenomeno migratorio, allora soprattutto i Paesi del sud Europa hanno iniziato a chiedere una riforma del trattato. Questo perché zone come quelle del Mediterraneo ad esempio, hanno dovuto sobbarcarsi, negli anni più caldi delle crisi migratorie, il maggior numero di sbarchi e quindi di persone da accogliere. Italia, Spagna, Grecia, Malta e Cipro per questo motivo negli anni sono sempre state più attive nel chiedere una riforma del Trattato volto a non lasciare i governi in questione da soli nella gestione dell'immigrazione. Ancora oggi però il documento di Dublino appare uno dei nodi più intricati da sciogliere. Anche perché ai Paesi del nord Europa l'attuale impostazione appare più vantaggiosa. Le diverse visioni sulla gestione dei flussi migratori I dibattiti su Dublino hanno fatto emergere diverse visioni nella gestione del fenomeno migratorio in Europa. Ci sono Paesi, soprattutto quelli estesi delle aree meridionali del Vecchio Continente, che chiedono o una riforma del trattato oppure meccanismi concreti e precisi di solidarietà. Altri invece che non condividono l'eventuale scelta di redistribuire i migranti per quote tra i vari Stati dell'Ue. Tra questi ci sono soprattutto i Paesi del cosiddetto "blocco Visegrad", formato da Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia e Ungheria. Anche l'Austria si è spesso collocata negli ultimi anni tra i Paesi più intransigenti sull'immigrazione, chiudendo anche più volte il confine del Brennero con l'Italia. Francia e Germania dal canto loro non appaiono disponibili ad attuare concrete riforme del trattato di Dublino. Al contrario, Berlino e Parigi più volte hanno chiesto maggiori controlli a Roma per evitare i cosiddetti "movimento secondari". Flussi migratori cioè di persone arrivate in Italia e dirette, contravvenendo al trattato di Dublino, verso il territorio francese e tedesco. Tuttavia Francia e Germania hanno più volte aperto, soprattutto dal 2020, all'approvazione di meccanismi di solidarietà verso i Paesi più colpiti dalle emergenze migratorie. Immigrazione come arma dei Paesi terziMa il fenomeno migratorio non rappresenta un problema solo a livello interno per l'Ue. Negli ultimi anni contro Bruxelles l'immigrazione è stata usata come vera e propria arma da Paesi terzi. Il caso più eclatante è rappresentato da quanto accaduto nel 2021 con la rotta bielorussa dell'immigrazione. Per settimane in migliaia hanno assediato lunghi tratti del confine tra Bielorussia e Polonia e tra Bielorussia e Lituania. Non si trattava di bielorussi, bensì di migranti provenienti dalla Siria, dall'Iraq e da altri Paesi del Medio oriente. Il governo di Minsk, nei mesi precedenti, aveva favorito l'afflusso di persone da questa regione del pianeta per poi spingere intere carovane verso i confini orientali dell'Ue. Quando i flussi migratori dalla Bielorussia hanno fatto sentire i propri effetti, la Polonia e i Paesi baltici sono andati in difficoltà. E, di conseguenza, il problema è diventato di dominio comune all'interno del Vecchio Continente. Varsavia ha risposto schierando interi reparti dell'esercito lungo le frontiere. Per evitare di far degenerare la situazione anche sul fronte politico, la Germania si è mossa instaurando diretti contatti con il presidente bielorusso Alexandar Lukashenko, la cui rielezione non era ancora stata riconosciuta dall'Ue. La situazione è quindi rientrata, anche perché il governo di Minsk ha ottenuto quell'ufficioso riconoscimento che ancora si aspettava da parte europea. Ma con la crisi del 2021 si è palesata ancora una volta l'estrema vulnerabilità dell'Ue difronte alle minacce migratorie di Paesi terzi. Quanto accaduto con la Bielorussia ha ricordato da vicino la situazione vista nel 2016 durante la crisi della rotta balcanica, quando Bruxelles ha accettato di pagare tre miliardi di Euro all'anno alla Turchia per blindare i confini con Grecia e Bulgaria e spegnere la crisi innescata dal massiccio flusso migratorio di quel momento. Le prospettive di riformaBen si comprende quindi come mai da anni si aspettano nuove riforme da parte dell'Europa per la gestione dei flussi migratori. Al momento però i tentativi non sono andati a buon fine. L'ultimo è partito subito dopo la crisi pandemica che ha interessato il Vecchio Continente. In particolare, il presidente della commissione Ursula Von Der Leyen ha presentato nel settembre 2021 un documento basato su tre perni fondamentali: maggior controllo delle frontiere esterne, solidarietà e maggiore facilità per i rimpatri. Il piano però non è mai decollato del tutto. Nel giugno 2022 i ministri dell'Interno dell'Ue si sono accordati per una più ampia solidarietà nella redistribuzione dei richiedenti asilo, fissando un cronoprogramma in cui entro il 2023 si dovrebbe giungere a una più organica riforma della materia. Previsto inoltre un potenziamento di Frontex, l'agenzia europea preposta al controllo delle frontiere esterne e dotata di proprio personale oltre che di mezzi messi a disposizione dai Paesi membri. La strada per una riforma è comunque in salita. |
Ultimo aggiornamento Martedì 26 Luglio 2022 16:15 |
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