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Cimitero ebraico Verona PDF Stampa E-mail
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Notizie - Cronache
Martedì 03 Agosto 2021 18:52



 


 

Tra tombe visitate o dimenticate, tra vestigia umili, illustri, facoltose, tragiche –

Sul luogo del rispetto e del ripasso di chi fu, storia senza più ghetto


 

Cimitero ebraico Verona


 


 

Verona, Cimitero della Comunità ebraica, via Antonio Badile 89 – Varcare il cancello d’accesso al luogo di sepoltura di figli d’Israele in terra scaligera procura subito un retrogusto di malinconia. La solitudine e l’assenza di visitatori accompagnano il breve itinerario tra tombe e storia.

Quello che si spalanca alla vista, su un’estensione di 8.200 mq (secondo http://www.ivrr.it/wpcontent/ uploads/2018/07/Mostra_ebrei_e_citta_bassa.pdf, due previsti campi d’ampliamento di 9mila mq ciascuno, rispetto ad una superficie iniziale di 11mila mq, stando invece a https://www.comebraicavr.it/it/storia-del-cimitero/) predisposta per 2.062 sepolcri e circondata da un alto muro di recinzione, è il quarto cimitero succedutosi in più di sei secoli di stanziamento ebraico a Verona.

Dell’iniziale si sono reperite notizie in un atto del 1435 che faceva riferimento ad un contratto d’acquisto del 1390 d’un appezzamento di Giacomo Pompei da parte del banchiere Lazzaro di fu Samuele. Si trovava sulla riva sinistra del fiume Adige, nella contrada di San Paolo presso il Campo Marzio mentre del secondo di Campofiore (tra le attuali vie San Francesco e dell’Artigliere, sul luogo dell’odierna scuola elementare “Massalongo”) si sa che fu in funzione durante i secoli XVII e XVIII o, stando ad un riferimento più preciso, dal 1599 al 1780 (chissà quanti maestri e bambini non hanno mai sospettato che, sotto o nei pressi dell’edificio scolastico, esistesse un cimitero!). Il terzo si rese necessario dopo i raggiunti limiti di capienza del precedente (anche per l’alto numero di morti dovuto alla famigerata epidemia di peste del 1630) ed era ubicato nelle vicinanze di Porta Nuova, nello spazio dell’attuale Camera di Commercio. Accolse salme dal 1755 al 1855.

Il quarto, tuttora attivo e che conserva interessanti lapidi settecentesche qui trasferite da Campofiore, venne allestito nel 1855 su una superficie concessa in lascito dalla famiglia Forti e progettato dall’ingegner Gemma. Costituiva un assetto cimiteriale “rivoluzionario”, soprattutto legislativo-architettonico ed igienico-sanitario, in comparazione ad altri in Italia che diede vita, addirittura, a discussioni in ambito nazionale che andarono avanti per decenni.

Lelio Della Torre, sul “Corriere Israelitico”, giudicò il cimitero ebraico di Verona quale «primo cimitero israelitico italiano di cui l’arte e non il caso abbia tracciato i compartimenti, a cui abbia dato una forma regolare, un carattere, un’espressione». L’innovazione, tra l’altro e forse per la prima volta in Italia, arrivò ad esporre immagini fotografiche del deceduto. Per gli ebrei della diaspora, fino alla metà del Diciannovesimo secolo, il cimitero e la sinagoga rappresentavano i fulcri della comunità e dell’identità ebraica. Seppellire i defunti era una forma di conservazione delle proprie radici culturali in funzione di sopravvivenza da emarginazioni, segregazioni, espulsioni storiche destinate ad esondare nel crimine maximo della Shoah.

Anche nel cimitero di via Badile si nota, palese, un certo orientamento a lasciar cadere nell’incuria gli spazi interni, come se la natura debba, lentamente, dominare, coprire. Vigono il divieto di riesumazione dei resti mortali (per rispetto del corpo considerato sacro, prodotto del Divino), la regola dell’inviolabilità della tomba (in quanto luogo di proprietà giuridica dello scomparso) e l’usanza di deporre sassi sulle lapidi in memoria delle fugaci inumazioni nel deserto durante l’Esodo degli ebrei dall’Egitto guidati da Mosè.

Alcuni manufatti sono specchio del classicismo di fine Ottocento e del liberty d’inizio Novecento. Ettore Fagiuoli (architetto e scenografo, noto per sue realizzazioni non solo nel territorio scaligero e per le scenografie del festival lirico areniano, Verona, 3 settembre 1884 – Verona, 19 marzo 1961), che già aveva completato, su progetto modificato, la sinagoga (inaugurata il 20 settembre 1929, “esempio dell’e-mancipazione della comunità ebraica”), disegnò per il cimitero due opere d’impatto figurativo: la tomba Grassetti nel 1920 (che, però, non venne concretizzata) e la tomba Bassani nel 1921.

Il Cimitero della Comunità ebraica conta su un fabbricato di rappresentanza all’ingresso adibito a varie mansioni (casa del custode e spazi per un oratorio, poi dismesso) e sulla suddivisione in quattro campi di sepoltura occupati secondo successione temporale, separati due a due da un vialetto alberato che porta ad una cappella, in stile neorinascimentale, usata per l’ufficio funebre e che include la camera mortuaria per il lavaggio rituale e la composizione della salma. Ai lati del vialetto principale e lungo le mura di cinta sono ubicate le tombe di personaggi illustri o, meglio, facoltosi della comunità, considerando il fatto che, molto spesso, i due aggettivi attribuiti ad una persona collimavano costituendo di fatto una… “casta” ebraica.

Oltre a questi, hanno trovato sepoltura esponenti noti per meriti, vicende, tragedie diretti o per riflesso. Come Rita Rosani (con cognome originario Rosenzweig, Trieste, 20 novembre 1920 – Monte Comun, Alcenago, Grezzana, Verona, 17 settembre 1944, maestra di scuola elementare e partigiana, uccisa durante o subito dopo uno scontro con nazifascisti, medaglia d’oro al valor militare); Israele Achille Italo Forti (botanico e mecenate che lasciò il suo patrimonio al Comune di Verona come erede universale, Verona, 28 novembre 1878 – Verona, 11 febbraio 1937, nella tomba di famiglia realizzata nel 1925 dallo scultore Carlo Spazzi); parenti del discusso Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare, medico, antropologo, accademico, filosofo e giurista, fondatore dell’antropologia criminale, considerato da certa parte di studiosi come il padre della moderna criminologia, Verona, 6 novembre 1835 – Torino, 19 ottobre 1909); Eugenia Vitali Lebrecht (saggista, giornalista, emancipazionista, conferenziera, fondatrice della prima cooperativa in Italia per il lavoro femminile, Ferrara, 27 agosto 1858 – Verona, 24 dicembre 1930); i cenotafi dei fratelli Ruggero (Venezia, 17 dicembre 1887 – KL Auschwitz, 28 ottobre 1944) e Lina Arianna (poetessa e scultrice, Venezia, 17 dicembre 1886 – KL Auschwitz, 20 marzo 1945) Jenna, figli di Riccardo Jenna e Ida Orefici, nella sepoltura di famiglia; i cenotafi dei fratelli Olga (Verona, 14 agosto 1878 – rastrellata a Stresa il 16 settembre e vittima dell’“eccidio del lago Maggiore” compiuto tra il 13 settembre e l’8 ottobre 1943 dal 1. SS-Panzer-Division “Leibstandarte SS Adolf Hitler”) e Tullo (avvocato, Verona, 1° luglio 1879 – anche lui rastrellato a Stresa il 16 settembre e, come la sorella, ucciso nell’“eccidio del lago Maggiore”) Massarani; Tullio Basevi (insegnante, Verona, 29 giugno 1889 – Lager di Flossenburg?, 11 gennaio 1945) ed altri coinvolti nella “soluzione finale”.

Proprio per ricordare in maniera tangibile il dramma della persecuzione razziale, dal 27 gennaio 2004 (cioè 4 shevath 5764 del calendario ebraico), data connessa al 27 gennaio 1945 (momento della liberazione da parte delle truppe sovietiche del KL Auschwitz fatto coincidere con l’annuale Giorno della memoria) sorge nell’area nord-ovest del cimitero un agglomerato marmoreo “in memoria degli ebrei deportati da Verona e vittime della barbarie nazifascista”, con il freddo elenco di 63 nominativi della comunità ebraica di Verona e di forestieri ebrei rastrellati in città e provincia e deportati verso i campi di sterminio hitleriani. Uomini e donne con la stella di David che, prima di disperdersi nel vento, certo invocarono un Dio assente misericordioso…

 

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