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Il copricapo della stregonessa PDF Stampa E-mail
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Notizie - Cronache
Giovedì 22 Luglio 2021 11:07


DA ACORNHOEK AL MUSEO AFRICANO DI VERONA


IL COPRICAPO DELLA STREGONESSA DI KILDARE CAUSA

PRESUNTA DI EVENTI NEFASTI PER CHI FECE DA… POSTINO?


Una serie di disgrazie dopo il ritorno dal Sudafrica e la consegna del “reperto” affidato


di Claudio Beccalossi


 

   Acornhoek/Verona – Rimangono tante domande insoddisfatte su quanto avvenne all’amico d’avventura (anche in Guinea Bissau, Africa occidentale) Gianni G. al nostro ritorno a Verona dal difficile viaggio-reportage in Sudafrica dal 23 gennaio al 15 febbraio 1989 (quindi, in piena “era apartheid”). Infatti, s’è sempre rinchiuso nel silenzio sulle strane ed amare vicissitudini da lui, purtroppo, patite nei giorni successivi al rimpatrio.

   Eravamo partiti dall’aeroporto “Leonardo da Vinci” di Fiumicino (Roma) a Lusaka (capitale dello Zambia) e poi, da qui, a Johannesburg (Sudafrica), con rotta inversa al rientro. Tramite trasferimenti interni raggiungemmo Pretoria, Cape Town/Città del Capo, Port Elizabeth (dov’era nato Giorgio, testimone con sua moglie alle mie prime nozze) e Durban. Da dove ritornammo a Johannesburg per poi raggiungere Acornhoek, nell’Eastern Transvaal, in autobus Transtate, partendo dal coach terminal situato presso la stazione ferroviaria, dopo circa 500 chilometri e 9 ore di scomodo percorso via Nelspruit, lungo la strada che a nord porta nello Zimbabwe, ad una ventina di chilometri da Orpen (varco del noto Kruger National Park). I miei vari resoconti di viaggio sono stati pubblicati, a suo tempo, da alcuni quotidiani (“L’Arena” di Verona, “L’Adige” di Trento).

   Come riportato nel mio “pezzo” pubblicato in terza pagina de “L’Arena” il 4 aprile 1989 (“Rifugiati in Africa, dramma senza fine”), la catholic mission poco lontano da Acornhoek, nostro obiettivo, accoglieva i rifugiati dell’allora guerra civile in corso tra il Frelimo (Fronte di liberazione del Mozambico) al potere e la Renamo (Resistenza nazionale mozambicana, colpevole di massacri nell’ex colonia portoghese).

   Scrivevo: “Ad un’ottantina di chilometri in linea d’aria dal Mozambico, dunque, Acornhoek ha i binari della ferrovia che la dividono nelle due homelands del Gazankulu e del Lebowa. Nell’area di competenza di quest’ultima, a cinque chilometri dal centro del Paese (di cui tre su una strada in terra battuta che diventa un pantano quasi impraticabile con la pioggia), è situata la missione cattolica “Maria Assumpta” diventata punto focale operativo nella zona per l’assistenza ai rifugiati mozambicani dislocati nei 43 villaggi di competenza lungo i bordi del Kruger National Park”.

   Fu in quel luogo d’accoglienza soprattutto di donne e bambini in fuga che conoscemmo missionari da… prima linea e vivemmo alcuni giorni con loro, contribuendo anche al trasporto tramite camion e relativo scarico di generi di necessità nei vari villaggi attorno. Si trattava dei comboniani trentini padre Giuseppe (Joseph) Sandri e padre Aldo Chistè, del fratello comboniano portoghese Artur Fernandes Pinto e della suora belga dell’Ordine della Sacra Famiglia di Bordeaux suor Agnes De Paux.

   Padre Chistè, appassionato d’etnografia locale, prima della nostra partenza per Johannesburg, volle affidarci un particolare “reperto” perché lo consegnassimo al Museo africano allestito dai missionari comboniani in vicolo Pozzo 1, a Verona. Si trattava del copricapo di perline d’una stregonessa (allora, per il “coro progressista” d’oggi stregona) convertitasi al cattolicesimo e scomparsa qualche anno prima, moglie dello stregone Zukanyana Chibi di Kildare, nei dintorni di Acornhoek. Era un elemento che mancava al corredo rituale già procurato al museo dallo stesso padre Chistè e che avrebbe rimpiazzato in vetrina il precedente copricapo “posticcio” in pelle di zebra: una collana di perline, un perizoma, una cintura con cauri (conchiglie bianco-giallastre dell’o-ceano Indiano, usate dagli indigeni come moneta), una gonna in pelle di zebra, accette cerimoniali, un aspersorio, un sacchetto con oggetti divinatori, zucchette e “medicine” ritenute magiche.

   Gianni s’infilò l’involto con il copricapo della stregonessa di Kildare nel suo bagaglio e lo tenne fino a quando non lo tirò fuori, una volta arrivati a Verona, per procedere alla consegna a padre Elia Toniolo, allora curatore del Museo africano. Poi, ebbi un black-out insolito di notizie (dato che ci sentivamo e vedevamo spesso) da parte di Gianni, ricoverato in isolamento in ospedale per sospetta malaria presumibilmente contratta durante il nostro tour in Sudafrica e nonostante gli accorgimenti preventivi presi. Io, al contrario, non accusavo nessun sintomo. Nel frattempo, iniziò a star male anche la madre dell’amico, poi deceduta. E, dopo poco tempo, anche il padre morì.

   Gianni non volle mai sfogarsi con me apertamente ma so che ipotizzava, per la serie di disgrazie, lo zampino maledetto di quel copricapo… La vendetta della stregonessa di Kildare per averlo portato altrove?

 


 

La linea ferroviaria che divide Acornhoek nelle due homelands del Gazankulu e del Lebowa
 


 

Museo Africano verona
 


 

Articolo sul copricapo della stregonessa di Kildare pubblicato dal quotidiano L'Arena di Verona del 15 marzo 1989

Ultimo aggiornamento Venerdì 23 Luglio 2021 20:35
 

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