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Pensiero di Pierfranco Bruni PDF Stampa E-mail
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Notizie - Regione Toscana
Martedì 22 Giugno 2021 21:05

 



Credo che oggi studiare Dante attraverso le lecture dantis sia un vero e proprio obbrobrio. Lo dico con convinzione in base a una esperienza quarantennale di lavori su Dante, sulla letteratura medievale del Novecento, sul carisma della letteratura all’interno dei processi culturali del nostro tempo.
Le lecture dantis sono delle analisi e delle interpretazioni del testo. Ma chi vuole interpretare e analizzare un testo, soprattutto quando si tratta di una commedia, crea un reato etico morale e metaforico. Reato in senso allegorico del termine perché credo che la peggiore visione di Dante Alighieri nasce proprio dalle lecture dantis. Chi legge Dante attraverso l’interpretazione, si assume il compito e la responsabilità di spiegare Dante, di catturare quelle immagini, quelle forme, quelle metafore che pensa ci siano in Dante.
È un pensiero che sostengo da diversi anni certamente non approvato né accettato dai licei e dalle scuole, ma è necessario aprire questa discussione in questo anniversario dantesco, perché se studiamo Dante, se non partiamo dal pensiero di Dante sul piano civile politico-sociale letterario ed estetico, è inutile entrare nelle lecture dantis della Divina Commedia. D'altronde perché si dovrebbero fare le lecture dantis della Divina Commedia senza pensare a una lectura dantis che parta dalla Vita Nova o che ci dia la possibilità di una interpretazione del Convivio, della Monarchia?
Errori che sono stati commessi e che si continuano a perpetuare. Errori di fondo che introducono Dante in una entratura cialtronesca, perché cercare di impartire una lezione attraverso i versi di Dante significa non aver capito il ruolo della letteratura, non aver capito il senso della letteratura e non aver capito le motivazioni che hanno spinto Dante a intrecciare la figura di Beatrice con le altre figure reali o meno, le figure profane con quelle sostanzialmente che provengono dal sacro.
Siamo alla solita storiella di quando si conclude una favola e si dice “vissero felici e contenti” come per dire che felice e contento sono la stessa cosa. La felicità e la contentezza sono la stessa cosa. Obbrobrio madornale. Dante non è una lectura, Dante è una tragedia. Dante non è una commedia perché le commedie non sono divine, soprattutto nella crisi del decadentismo e nella crisi pre e post dannunziana e nicciana. Nell'epoca contemporanea viene ad essere superata questa interpretazione.


Se la cosiddetta Divina Commedia si utilizza come commedia e come divina vuol dire che le interpretazioni che sono state date in questi anni sono nulla, non sono state comprensibili. Ci sono interpretazioni che vengono sia dall'università sia dagli storici della letteratura, sia dai licei che non hanno capito Dante, che non riescono a capire Dante che cos'è dal punto di vista del personaggio, del profeta, appunto del Divino.
Ho cercato di spiegare queste aspetti nel mio “Dante raggio divino” e precedentemente “Nel mezzo del cammin” e precedentemente ancora in diversi capitoli dedicati a Raffaello tragico e divino. E allora non si deve entrare più in punta di piedi nel contestare le lecture dantis ma si deve entrare con la capacità prospettica, con lo spessore culturale in cui il Dante profeta non è più il Dante della Commedia ma il Dante del tragico.
Perché Dante è tragico, perché commedia è commediare, perché entriamo in una visione appunto, come dicevo prima, di una lectura dantis che ci porta a spiegare il modello cialtronico della lingua in sé a cominciare proprio dal primo canto fino ad arrivare al canto finale del Paradiso dove le figure centrali non hanno bisogno di una spiegazione ma hanno bisogno di una entratura attraverso il mistico, il mistero, non attraverso la teologia. La teologia ci propone una spiegazione e invece Dante non ha bisogno della spiegazione. Ha bisogno soprattutto di una determinazione che sia fondamento di un passaggio che è un passaggio mistico.
Perché Dante che noi abbiamo voluto proporre, o che hanno voluto proporre, non ha nulla di cattolico, nulla di teologico da questo punto di vista. Ha molto di cristiano certamente, ha molto di ortodossia. La stessa figura di Maria e la figura della Maddalena e la figura anche di Beatrice all'interno dei processi di passaggio, nei cosiddetti viaggi del Samsara che vanno dall'Inferno al Purgatorio al Paradiso, ci offrono la possibilità di porre Beatrice davanti a uno specchio che è lo specchio metafisico appunto di Maria Zambrano ma che è anche lo specchio esoterico di Renèè Guenon. 
Come si fa a spiegare oggi lo specchio esoterico di Guenon o la maschera metafisica-specchio di Maria Zambrano? Diventa complicato soprattutto se ci rivolgiamo ai ragazzi, perché qui bisogna partire da una visione che è numerologica vera e propria, perché se noi entriamo in questa cifra dei numeri (dal 3 a 9 all’11 al 7) la lectura non ha una sua parzialità nella sua visione. È incondizionato il modello letterario poetico che entra in quel modello che è filosofico e mistico.
Adriana Mazzarella, nel suo libro di Beatrice, ci propone proprio una lettura che è una lettura in cui la figura di Jung, la psicoanalisi di Jung, è un punto nevralgico per entrare nello sguardo negli occhi nelle movenze nella danza che si può cogliere in Beatrice. E la figura di Beatrice, pur essendo centrale (ed è centrale per alcuni aspetti), è quella figura che trasforma ciò che noi abbiamo avuto, o ciò che noi abbiamo letto, nella figura di Eloisa che Dante poi trasporta a sua volta (Eloisa e Abelardo) nel quinto canto dell'Inferno. È inutile ripetere il discorso del quinto canto dell'Inferno della lussuria, degli amanti perduti, del peccato.
Non si ragiona più in questi termini. Noi viviamo in un tempo in cui la filosofia e le scienze hanno cambiato anche la letteratura e questo non significa che si rompono gli steccati. Significa che la letteratura ha delle contaminazioni, dei condizionamenti, ha delle movenze antropologiche che molti, prima del Novecento, non sono riusciti a leggere, non sono riusciti a vedere, non solo perché non avevano gli strumenti adatti ma anche perché c'era una imposizione di un Dante che doveva apparire, doveva essere posto e proposto attraverso una canonizzazione di modelli culturali.
A dare il colpo finale a questo è stato il discorso di Benedetto XV nel 1920-21 quando si appropria impropriamente di un Dante cattolico. Un obbrobrio. Questo perché, se si vuole incasellare un poeta eretico ed esiliato ed esiliante come Dante, non si può schematizzarlo in una visione, non lo si può schematizzare, e quando si afferma, come ha affermato Paolo VI che “Dante è nostro e non si tocca, durante la chiusura del Concilio Vaticano II, si commette un errore di fondo, un errore madornale, io direi “bestiale” per restare in una lettura carducciana vera e propria o per restare in una visione in cui Papini, con il suo Uomo finito, si rivolge proprio all'uomo che ha attraversato la crisi del suo tempo che è quello dei due poteri non assolti o della mancanza di spazio nei due poteri non assolti, che sono quelli descritti nella Monarchia: il potere del Vaticano, il potere papale, il potere dei comuni e quindi sostanzialmente delle istituzioni laiche.
Dante rompe gli steccati da questo punto di vista e non dobbiamo arrivare alla Monarchia, non dobbiamo arrivare al De Vulgari eloquentia nel quale già si notano questi aspetti. La Divina Commedia è impermeata di questa visione politica, di questa visione di fedeltà alla ideologia, alla centralità antropologica. Tutti i personaggi che noi viviamo e che abitiamo nella Divina Commedia, da Pier delle Vigne a Gioacchino da Fiore, sono personaggi in cui l'antropologia dell'umanesimo costituisce un punto nevralgico per capire poi il Dante che arriva fino a Gabriele D'Annunzio del Notturno.
Perché D'Annunzio fa una sintesi di ciò che ha vissuto Dante Alighieri, Dante che è il cosiddetto divino si confronta con il vate e confrontandosi con il vate è chiaro che partendo da quella forma prosometrica che è la Vita Nova giunge da Beatrice a quella che sarà poi Eleonora Duse nella Francesca da Rimini o che sarà Eleonora Duse che trionferà nel romanzo Il fuoco.
Accostamenti sagaci? Accostamenti selvaggi? Io amo gli accostamenti intelligenti perché credo che soltanto con l'intelligenza oggi si può leggere Dante e non con il detto e il già detto. Non ha senso proporlo nei termini in cui si è proposto quando io frequentavo il liceo. Dante è altro perché Dante è oltre, allora se noi vogliamo recuperare Dante, da questo punto di vista, non possiamo concederlo ad una lettura dantesca partendo dalla Divina Commedia e restando dentro la Divina Commedia. Perché di Dante si dice che sia stato il padre della lingua italiana non certo per la Divina Commedia ma per il Vulgari eloquentia, per il livello prosometrico della Vita Nova in cui il verseggiare incontra anche la prosa in cui le figure costruiscono i personaggi dei lati svelati dalle ombre del dubbio e quando si vuole inculcare il concetto di peccato certamente si esce dal peccato perché si vuole il concetto del perdono.
Peccato e perdono. Ma c'è anche la” non dimenticanza” in Dante, perché altrimenti come si fa a superare la selva oscura? Quel buio della selva oscura è l'uscita dal labirinto e non è l'uscita dal caos, è l'uscita dal labirinto vero e proprio perché dal labirinto si esce nel momento in cui arriva la luce di Arianna e ti porta fuori a vedere il focolare domestico, a vedere sostanzialmente le stelle.
Ma questa è un'interpretazione prettamente antropologica in cui l'antropologia diventa psicologia e la figura di Jung diventa rappresentativa dello scavo in cui il senso del tempo non è soltanto il senso dello spazio ma il senso dell'eternità, il “senso del finito” di Papini in cui chiaramente lo stesso Papini si confronta con Dante. Diventa il tempo dell'eternità o del tempo illimitato in Borges e in Eliot in quella concezione omerica che è circolare non virgiliana perché nella concezione virgiliana c'è la prospettiva, l'orizzonte. C’è la capacità di Virgilio e di Enea di proiettarsi oltre e spaccare il cerchio, di spaccare quello che Vico sosteneva la ciclicità del tempo e del vissuto e della memoria. Quella ciclicità che trova in Guenon il punto di grande riferimento.
Con Dante siamo al superamento del platonismo, al superamento della caverna selvaggia perché siamo dentro la capacità di catturare la luce, siamo dentro la possibilità di vivere il senso del tempo attraverso l'illuminazione. Ma quel “M'illumino d'immenso” di Ungaretti, grande studioso di Dante, partecipe della condizione esiliata ed esiliante nell'esilio di Dante, non è forse una illuminazione dell’immenso che esce dalla selva oscura? Che esce da questo buio della caverna di Platone? Perché Dante ha bisogno di azzerare Platone. Quando si riuscirà a captare questa visione credo che ci si potrà confrontare con Dante attraverso strumenti e termini che non siano soltanto accademici, scolastici e di lectura dantis.
Soltanto attraverso questa dimensione, che è la dimensione mistico filosofica esoterica, è possibile dare una interpretazione al modello in cui il canto di Francesca e di Paolo diventa, non il concetto di una lussuria peccaminosa e profonda, ma l'esaltazione dell'amore, il senso del sublime dell'amore.
Dicevo prima che il canto quinto dell'inferno non è altro che la trasposizione di un amore qual è stato quello di Abelardo ed Eloisa in un contesto che supera la stessa determinazione che è una determinazione di sostegno darwiniano nei tempi moderni.
Superando questa visione di trasparenza si entra in quella dimensione del velo che è il velo di Maya ma è anche il nodo di Gordio, quel nodo di Gordio che ci permette di rompere tutti gli steccati e le strutture anche semantiche in una dimensione che è una dimensione chiaramente estetica.
Quale potrebbe essere l'estetica di Dante oggi? La lectura dantis? Ma non se ne parla proprio.
Dante è bellezza. L’espressione usata e abusata di Dostoevskji “La bellezza salverà il mondo” ormai è completamente oltre questo concetto. Ciò che salverà il mondo non è la bellezza, è la verità che esce dal dubbio o il dubbio che viene impermeato dal concetto di verità per raggiungere la certezza.
Queste sono dimensioni filosofiche. In Dante ci sono questi tre momenti: la certezza, la virtù e il dubbio ma anche la verità.
Quando Dostoevskij chiude il suo “I fratelli Karamazov” con “La leggenda del grande inquisitore” pone l’attenzione su momenti sublimi quali il mistero, il miracolo, l'eternità, la vita, il reale, la grazia.
Dante, in fondo, cerca la grazia ma non da un punto di vista teologico. La cerca da un punto di vista mistico. È chiaro che questo misticismo di Dante è il misticismo della figura della Vergine Maria che non è assolutamente un aspetto teologico ma è un aspetto mistico, sacrale. Un aspetto, se vogliamo, ortodosso rispetto anche ai tre Vangeli sinottici più Giovanni.
Questo è il dato concreto perché la Divina Commedia si serve chiaramente dell'Antico Testamento e del Nuovo Testamento. Si serve del viaggio paolino ma anche discutendolo e rivalutandolo perché dentro l’opera di Dante c’è tutta quella cultura araba del Mediterraneo. C’è il mondo della cultura islamica, la parcellizzazione di un Oriente che conosce già il concetto del viaggio oltre l’Occidente.
Il viaggio dell'Oriente è il viaggio persiano. Il viaggio esoterico. Il viaggio di Pitagora e Pitagora, che è nostro contemporaneo dal punto di vista filosofico mistico, è dentro la numerologia cifrata di Dante. Senza Pitagora sarebbe stato possibile a Dante leggere la numerologia?
Questa è una domanda che bisogna porsi oltre le lecture dantis.Tutti sono bravi, pronti a parlare di lecture dantis, dando il loro giudizio, ma bisogna andare oltre questa lettura. Bisogna abitarsi in Dante, bisogna mettersi in gioco con Dante. Tutti sono in grado di leggere un verso di Dante e dare la propria lettura. Nessun insegnante si è limitato a fare questo, anzi tutti gli insegnanti sono andati oltre, ma la profondità è una profondità in cui la casa dell’intellettuale Dante è la casa della prospettiva di un visionario.
Il visionario che c'è in Dante è il visionario mistico, è il visionario in cui il simbolo diventa la grazia. Maria è un simbolo e quindi è una grazia che si lega a tutta la griglia simbolica non materica ma metaforica e, se vogliamo, anche metafisica recuperata da Ovidio. Il mito delle interpretazioni delle donne di Ovidio sono tutte calate dentro i personaggi della Divina Commedia. Qui bisogna decidere una strada che deve essere suggestiva. Non la strada che ci hanno imposto 40 anni fa, 50 anni fa, 60 anni fa… anzi io direi 100 anni fa, proprio nel momento in cui la chiesa entra a gambe aperte ad occuparsi di Dante in malo modo, perché non ha capito granché. La chiesa del mondo cattolico della Divina Commedia, e soprattutto di Dante processato dalla Chiesa, inquisito sia per la Divina Commedia e soprattutto e per la Monarchia e il Convivio, viene recuperato in tempi recenti.
Ma Dante è un eretico in quanto è divino. La grande intelligenza che ha imposto Boccaccio sta proprio qui. Boccaccio, con una forza ironica, definisce la commedia divina e azzera tutte le prospettive che sono quelle tragiche. Il tragico divino può esistere? Il tragico diventa divino soltanto se passa attraverso la dimensione del mito, della metafora, della allegoria.
Il mito è tragico ovvero è l'antico ritorno di Nietzsche. Quanto Dante c'è in Nietzsche? Questa è un'altra domanda che bisogna proporre in una dialettica molto aperta. In Nietzsche c’è molto Dante, c’è la Minerva oscura e il chiarore del bosco che abbiamo incontrato anche in Giovanni Pascoli.
Pascoli è tagliato fuori dalle lecture su Dante perché faceva paura. Da studioso su Dante dà una interpretazione grazie a questa forma simbolica, questa metafora dei numeri che diventa morfologica sensazione e percezione del tempo che non c'è più. Perché se noi dovessimo restare a quel tempo che abbiamo vissuto e che recuperiamo saremmo demoni e cristiani e non è possibile questo oggi.
Non è possibile perché la Divina Commedia ci propone una chiave di lettura importante se letta in modo profondo da uomini colti e saggi che scavano nella cultura di Dante che nasce dalla cultura persiana, dalla cultura sufica e che passa attraverso i due capisaldi dello Stilnuovo, Guinizzelli e Cavalcanti che sono i padri fondatori di un nuovo messaggio nel Medioevo dell'innovazione rivoluzionaria della lingua ma anche delle forme e della struttura e della struttura letteraria della Divina Commedia.
Questa interpretazione teologica ha distrutto Dante perché lo ha imposto, ha imposto una fisiognomica di Dante, e imporre, con degli schemi precisi una lettura, andare poi a romperla, ce ne passa di tempo. Credo che bisognerebbe avere il coraggio di leggere Dante attraverso modelli che non sono più quelli pregressi che la scuola italiana ha dovuto adottare.
Ma già Raffaello aveva capito questo quando imposta la figura della Scuola di Atene insieme anche a Leonardo. La Scuola di Atene è un intreccio tra figure che sono laiche filosofiche greche in cui il mondo orientale è dentro il mondo occidentale.
Non ci sarebbe Occidente senza l’Oriente. Oggi noi non riusciamo a parlare neppure di Ulisse senza praticare il messaggio mesapotamico che c'è nell' Odissea di Omero e Omero è profondamente greco, è profondamente occidentale chiaramente ma in quel tempo l’Occidente era l’Oriente, in quel tempo il mondo greco era un mondo che si basava geograficamente o geopoliticamente in una dimensione che era un contesto distante da questo.
D’altronde come si fa a considerare Enea il prototipo del personaggio occidentale quando l'Eneide, quando Enea è proprio l'essere asiatico del mondo turco? Dove si trova Troia? Dove si trovava prima, in Turchia.
Quindi cerchiamo di capire questi aspetti che sono intrecciati nella misura e nella dimensione nella distanza di un tempo che non è soltanto un tempo cronologico ma è un tempo metafisico, è un tempo della metafisica dell'attesa, un tempo della metafisica in cui il concetto di anima, se esiste l'anima, non è quello di Platone.
Platone è completamente superato soprattutto da Gioacchino da Fiore, da Giordano Bruno, da Giambattista Vico. Platone non esiste più nel momento in cui le stature di Giordano Bruno, di Gioacchino da Fiore, di Giambattista Vico coordinano i nuovi modelli che sono i modelli filosofici fino ad arrivare addirittura ad Aldo Masullo, il grande filosofo della contemporaneità e della metafisica. E nel grande filosofo della metafisica Aldo Masullo ci sono questi aspetti che sono stati elementi significativi e che sono ancora oggi gli elementi significativi di Maria Zambrano. Dante specchio divino, Beatrice davanti allo specchio. È qui che si innesca tutta la nuova interpretazione di Dante che va proposta oggi.
Questa è una rivoluzione che deve partire da chi conosce Dante nel profondo. Gli insegnanti sono i meno adatti perché sono schematizzati sulle lecture dantis. Lo dico senza tema di smentita e senza paura, perché ci vuole la profondità di una filosofia che è la filosofia dell’eredità orientale per capire questa dimensione che è una dimensione chiaramente prospettica, chiaramente onirica, ma chiaramente e profondamente calata nella allegoria che Dante ha saputo costruire attraverso sia le forme linguistiche che i personaggi.
Il crudele conte Ugolino che personaggio è? È tutta la cultura greca che vive nel conte Ugolino. È  tutta la cultura impastata di un modello greco e latino. Greco, ovvero della tragedia greca. Attenzione. Ecco perché ritorno sul concetto di tragedia. Nella tragedia greca del modello romano latino che è quello delle eroine di Ovidio.
Questi due aspetti fanno di Dante non più l'autore della Divina Commedia, ma fanno di Dante il tragico del divino passando attraverso il mito. La nascita della tragedia di Nietzsche in fondo nasce all'interno di questa tragedia che è la tragedia del superamento del peccato e se si supera il peccato non esiste più il perdono che è appunto dato dalla cosiddetta Divina Commedia.
Allora entriamo a piedi alzati non a piedi bassi su questa interpretazione perché credo che ormai siamo stanchi di cose dette e ridette e risapute. Bisogna avere il coraggio la forza di rileggere Dante e di riproporlo con nuovi strumenti che sono gli strumenti che non ci offrono gli accademici, le scuole, ma che ci offrono le persone che hanno abitato e che abitano la letteratura come parte integrante della propria vita e del proprio coraggio della coerenza che supera il dubbio per cercare non la verità ma per confrontarsi con la certezza.
E Dante ci offre la possibilità di confrontarci con la certezza. D'altronde se noi dovessimo fare un'ultima battuta, è vero che una delle grandi opere di Dante è la Vita Nova, ma le grandi opere di Dante nascono nella solitudine dell'esilio, nascono in esilio, dall’esilio, nascono dentro quella dimensione che è il confrontare il sé con l'altro sé e le parole che non si dimenticano o la metafora come parola o la metafisica come la parola adottata da Maria Zambrano sono nati in esilio o come le grandi opere di Ovidio che nascono in esilio.
Perché sono personaggi scomodi, sono personaggi che fanno paura, Sono personaggi temuti fino in fondo e allora restituiamo a Dante quella verità del dubbio per arrivare a confrontarci appunto con la certezza.
“Dante raggio divino” è il mio viaggio ultimo dentro questo carisma che non è un carisma cattolico ma è un carisma profondamente mistico in cui Dante è, appunto, il raggio.

 

Immagine Dante: Di Sandro Botticelli - telegraphhttp://www.pileface.com/sollers/article.php3?id_article=312, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=122900

 

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