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Dai prestiti facili al dissesto: Banca Etruria nella tempesta PDF Stampa E-mail
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Notizie - Economia
Martedì 15 Dicembre 2015 08:04

I tre filoni di inchiesta mettono a nudo una banca in crisi già dal 2012. Gli ex vertici indagati per il dissesto dell'istituto: nel mirino pratiche di finanziamento per 185 milioni

Andrea Indini  - ilgiornale.it

Su Banca Etruria spunta un terzo filone di inchiesta della procura di Arezzo. Per il momento, però, non sarebbe basato sulle recenti vicende dell’istituto e degli ex obbligazionisti della banca.

Si tratta di un'indagine sul conflitto di interessi che ha avuto origine dalla relazione della Banca d’Italia sul commissariamento dell'istituto nel febbraio 2015. Questa parte di inchiesta si affianca agli altri due filoni. Il primo sull’ostacolo alla vigilanza, che risale al marzo 2014 e trae origine dalla relazione degli ispettori della Banca d’Italia del 2013, e il terzo sulle false fatturazioni datato primavera 2014.

Ex vertici indagati per dissesto

L'inchiesta sul conflitto di interessi è ancora agli inizi e non ha alcun nome iscritto nel registro degli indagati. Secondo fonti vicine alla procura di Arezzo, l’inchiesta ipotizza il conflitto di interesse a carico di alcuni ex membri del cda dell’istituto bancario aretino che avrebbero ricevuto fondi per 185 milioni formalmente deliberati di cui ne sarebbero stati erogati realmente 140 a vantaggio di diciotto ex amministratori, quindici consiglieri e cinque sindaci revisori. Come spiega Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, l'ex presidente di Banca Etruria Lorenzo Rosi e l’ex membro del cda Luciano Nataloni, entrambi accusati di "omessa comunicazione di conflitto d’interessi", avrebbero sfruttato "a fini personali il ruolo che avevano all’interno dell’Istituto. E di averlo fatto per godere di finanziamenti che altrimenti non avrebbero potuto ottenere". L’indagine avviata dai magistrati di Arezzo fa così un salto di qualità e, puntando direttamente ai vertici, individua possibili responsabilità nel dissesto. I controlli dovranno anche stabilire come mai né Palazzo Koch né la Consob misero in guardia dai rischi legati alle emissioni obbligazionarie nonostante tra dicembre 2012 e febbraio 2015 ci fossero state ben tre ispezioni. Come spiega Gianluca Paolucci sulla Stampa, già nel 2012 Banca Etruria aveva varato un aumento di capitale da 100 milioni di euro "a coprire le carenze patrimoniali causate dalla pessima qualità del portafoglio crediti". Ma era risultato insufficiente.

Il conflitto d'interesse sui finanziamenti

Le contestazioni a Rosi e Nataloni si riferiscono al periodo che va dal 2013 al 2014, quando alla vicepresidenza c'era Pier Luigi Boschi, padre del ministro per le Riforme Maria Elena. E, nel dossier degli ispettori di Bankitalia, spunta che pratiche di finanziamento per 185 milioni sono state svolte in situazioni di "conflitto d’interesse" generando 18 milioni di perdite. Nel mirino ci sono, in particolar modo, una pratica intestata a Nataloni da 5,6 milioni di euro e riguardante la società Td Group e una seconda pratica da 3,4 milioni di euro. La relazione della Banca d'Italia contesta, poi, un buco da circa tre miliardi di euro. "Proprio per cercare di ripianare le perdite - spiega la Sarzanini - sarebbero state emesse le obbligazioni subordinate diventate carta straccia dopo il decreto firmato due settimane fa dal governo proprio per salvare Etruria e altre quattro banche". In realtà da via Nazionale avrebbero fatto sconsigliato la vendita ai piccoli risparmiatori. Per questo, si legge ancora sul Corriere della Sera, "l’inchiesta dovrà accertare se davvero questa raccomandazione fosse arrivata ai vertici di Etruria e quali siano state invece le indicazioni fornite dai vertici ai responsabili delle varie filiali".

L'operazione immobiliare di Banca Etruria

Il filone che ipotizza il reato di ostacolo alla vigilanza, che sta arrivando alla conclusione, riguarda anche l'operazione immobiliare fatta nel 2012 sugli immobili del gruppo ceduti al consorzio Palazzo della Fonte. I rischi, ovviamente, sono tutti in capo all'istituto che paga anche le spese di manutenzione e servizi. Come riporta la Stampa, Banca Etruria avrebbe indirettamente finanziato i soci versando loro 10,2 milioni: "2,5 milioni sono finiti alla Farmainvest, 3,9 milioni alla Mineco Real Estate di Matteo Minelli, produttore di birra amato da Renzi. Altri 3 milioni finiscono invece alla Findi Investimenti, altro socio del consorzio. Poi però c’è anche un prestito da 49,3 milioni che il consorzio prende in prestito da un pool di banche per finanziare l’operazione". Insomma, sui 75 milioni di euro pagati dal consorzio per il 90% degli immobili di Etruria, 10,2 milioni arrivano dalla banca e altri 49,3 sono garantiti dallo stesso istituto.

La chiusura delle indagini

Il procuratore Roberto Rossi, che coordina tutti e tre i filoni di indagine, dovrebbe chiudere nei prossimi giorni chiedendo il rinvio a giudizio per l'ex presidente Giuseppe Fornasari, l'ex direttore generale Luca Bronchi e il dirigente centrale David Canestri. È stato invece già chiuso il terzo filone sulle false fatturazioni che vede indagati ancora Giuseppe Fornasari, Luca Bronchi e l’ultimo presidente prima del commissariamento Lorenzo Rosi, attualmente però sono stati notificati solo gli avvisi di chiusura ma non ci sono richieste di rinvio a giudizio.

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