L´Europa deve riscoprire se stessa Stampa
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Lunedì 20 Aprile 2020 21:22

 

 

 

POLITICA /

Autore: ANDREA MURATORE


20 APRILE 2020

www.ilgiornale.it  

“Oggi l’Europa che doveva essere il tempio delle idee, l’acropoli dei valori, è diventata un tavolo finanziario basato su illeggibili acronimi”: è un Giulio Tremonti in grande spolvero quello che si confronta con L’Antidiplomatico sui temi più importanti dell’attualità e sulla crisi sistemica della globalizzazione e dell’architettura comunitaria nel pieno della tempesta finanziaria dell’emergenza coronavirus.

L’ex ministro dell’Economia dei governi di Silvio Berlusconi, protagonista del dibattito politico delle ultime settimane sia per la discussione sulla ripresa della sua vecchia proposta degli eurobond che per le sue riflessioni sul futuro dell’Europa e dell’economia globale, ammette con trasparenza che “il vero deficit dell’Europa non è finanziario, è politico”. Basti il confronto tra le foto degli attuali summit europei (“sembra di vedere una forza aziendale in gita premio”) e i nomi dell’attuale classe dirigente del Vecchio Continente con quelle dei padri fondatori della Comunità europea negli Anni Cinquanta.

L’Europa è debole perché debole è il sottofondo valoriale, politico, istituzionale dell’Unione. Utopia antipolitica sballottata nel mare agitato della globalizzazione in crisi, di cui non ha saputo cogliere la dinamica competitiva e iper-politica. Nel suo recente saggio Le potenze del capitalismo politico Alessandro Aresu, editorialista di Limes, ha scritto che “ogni coordinata indica il tramonto dell’Europa, in forma intergovernativa, in forma federale o nelle altre forme su cui possiamo litigare, e litigheremo”: demografia, finanza, industria, coesione, tecnologia e via discorrendo.

Tutto questo per una debolezza di progettualità politica che è, in fin dei conti, fragilità valoriale, assenza di visione. Come giustamente fa notare Tremonti approfondendo temi già toccati nel suo dialogo con Andrea Indini de ilGiornale.it,quando paragonò l’effetto della crisi in corso sulla globalizzazione alla pallottola che uccise a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando.

Le “tre profezie” di Tremonti

La cultura europea è da Tremonti personificata nel suo ultimo saggio Le tre profezie nelle figure di Karl Marx, Johann Goethe e Giacomo Leopardi, capaci di fornire a suo parere chiavi di letture nel mondo contemporaneo. Marx come lettore delle forze che il capitalismo internazionale sprigiona senza saperle controllare; Goethe con la lezione di Faust che vende l’anima e la ragione al diavolo insegna i rischi di cedere la propria “anima” a un fattore esterno, nel nostro mondo i potentati tecnologici; Leopardi, infine, “è sceso nei segreti della storia e svela l’andamento circolare e non lineare delle civiltà, la crisi di Roma quando diventa globale”.

Classe dirigente e cultura: l’Europa della fine del Novecento e degli inizi degli Anni Duemila declina perché non sa conoscere se stessa, i suoi limiti, la sua direzione della storia e non produce più uomini, leader e statisti capaci di guardare alla radici di una cultura millenaria. Marx, Goethe e Leopardi sono esponenti di un panorama culturale e ideologico più ampio che ha prodotto tutte le forze capaci di irradiarsi nel pianeta come strumenti di mobilitazione politica, dal liberalismo al socialismo, una visione valoriale di ampio respiro e un mosaico di figure che andrebbero riscoperte, da San Tommaso a Jacques Maritain, da Adam Smith a Carl Schmitt (titolo, non a caso, di un capitolo del saggio di Aresu), dal cardinale Richelieu e Nicolò Machiavelli a Max Weber. Dalla filosofia alla teologia, dalle dottrine dello Stato all’economia, una rosa di pensieri e culture in larga parte eterogenea, mosaico di una diversità intrinseca che è stata la faglia dell’Europa, continente lacerato da lotte e conflitti, ma anche la fonte della sua vivacità culturale, della sua proiezione globale.

La classe dirigente che ricostruì l’Europa

Tutto questo era ben scolpito nelle menti di coloro che, dopo la seconda guerra mondiale, cominciarono il processo di ricostruzione del Vecchio Continente, ispirato da un’ideologia politica fondata sulla compenetrazione tra le vive forze degli Stati e le esigenze del mercato, mai elevato a dominus della vita degli europei prima della firma del Trattato di Maastricht. Che assieme ai suoi successori ha costruito un’Unione dotata di una bandiera senza simboli, di un inno senza parole, di regole senza ideologie se non la pretesa del superamento delle ideologie stesse in nome del “mercato”. Mentre altrove Stati Uniti e Cina plasmavano, gradualmente, il nuovo ordine internazionale in cui il Vecchio Continente si trovava sempre più retrocesso a periferia geopolitica.

La classe dirigente europea si è fortemente ridimensionata dall’epoca di una prova tanto importante ad oggi

Nell’ora più buia degli ultimi decenni la tragedia dell’Italia è non avere un Churchill ma nemmeno un Attlee. Pensiamo solo al caso del nostro Paese. La nostra Repubblica è figlia di chi si è plasmato memore della lezione acquisita di fronte alla tragedia di una (La Pira, Fanfani, Mattei, Vanoni, La Malfa, Morandi) o addirittura due (De Gasperi, Togliatti, Nenni, Einaudi) guerre mondiali, assistendo alla devastazione del Paese e partecipando alla sua rinascita sulla base di un patrimonio valoriale, culturale e ideologico consolidato e di un’ampia e chiara conoscenza della storia. I “Trenta Gloriosi”, i tre decenni di crescita dell’Europa del secondo dopoguerra, furono proprio il frutto di tale classe dirigente, capace di comprendere le lezioni della storia e di costruire un sistema politico ed economico in cui agli Stati veniva garantito un ruolo decisivo nello sviluppo, nell’indirizzamento e nella pianificazione delle linee politiche, economiche e sociale delle collettività. L’esatto opposto di quanto accade oggi.

Non a caso l’Europa degli ultimi decenni non solo non ha saputo produrre uomini di Stato temprati alla fatica e al lavoro strategico come quelli della ricostruzione ma ha visto anche il peso della sua cultura affievolirsi. La classe intellettuale si è trasformata in un coro di sostenitori dell’architettura vigente, specie dopo la fine della Guerra Fredda, e della “lirica europeista” impregnata del mito della fine della Storia, tanto solida nella società del benessere da non essere messa in discussione dai più celebri dei pensatori “atipici” (pensiamo a Junger Habermans, per fare solo un nome dei più celebri).

L’assenza di radici dell’Unione europea

San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono stati forse gli ultimi due interpreti della cultura europea e delle lezioni della civiltà millenaria del Vecchio Continente: la vacuità ideale dell’Unione, figlia di una commistione grezza tra un sottofondo di illuminismo francese e una base dominante di economicismo neoliberale, fu da loro individuata nell’assenza di qualsiasi riferimento alle radici cristiane dell’Europa nel progetto di Costituzione europea prima e nello sviluppo del Trattato di Lisbona poi. Una mancanza che non ha solo valore ideologico e religioso, ma testimonia l’assenza di prospettive di un’Unione che è corpo estraneo rispetto alla tradizione europea. L’irrilevanza, poi, viene da sé. Confondere tali questioni con un mero afflato identitario sarebbe limitante: ogni progetto politico necessita di una doverosa spinta valoriale per performare al meglio. Gli Stati Uniti non hanno timore di rifarsi a una tradizione che attraverso i Padri Fondatori li narra come “democrazia di Dio” e in Cina Xi Jinping non lesina i riferimenti alla continuità millenaria del Paese da Confucio (e ancora prima) a oggi.

Nel contesto della crisi della globalizzazione l’Europa ha smarrito il filo conduttore e ora appare senza meta e senza obiettivi politici se non la sopravvivenza di breve periodo. Troppo poco per il “tempio delle idee” di cui Tremonti auspica la ricostruzione. Una tendenza, purtroppo, in atto da tempo. Mentre l’Unione europea si distanzia sempre più dall’Europa e dalla sua tradizione storica.


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