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“Sergio Ramelli Una storia che fa ancora paura” PDF Stampa E-mail
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Notizie - Cronache
Sabato 24 Maggio 2025 15:25

Un delitto politico e la giustizia all’italiana: la storia Ramelli

 



                                                                                                    
         Guido Giraudo durante il suo intervento

  

                                                                                          
         Da sinistra: Andrea Arbizzoni, Guido Giraudo, Paolo Danieli e Massimo Mariotti

 


 

 

Verona - Nella sala convegni di Ater (Azienda territoriale per l’edilizia residenziale), in piazza Pozza, è stato presentato per la 200^ volta (e con più di 30mila copie vendute in dieci edizioni stampate e ristampate) il libro-documento ampliato ed aggiornato “Sergio Ramelli. Una storia che fa ancora paura” (Idrovolante Edizioni, Alatri, Frosinone, 2024), ricostruzione dell’assassinio (compresi contesto folle in cui maturò ed altalenante iter giudiziario successivo) del diciottenne di destra (Milano, 6 luglio 1956), militante del Fronte della Gioventù, da parte di killers estremisti di sinistra collegati ad Avanguardia Operaia.

 

L’esordio con pubblico e lettori avvenne nel Veronese, a Pescantina, il 28 aprile 1997. E mai nessuno, in tanti anni di incontri e diffusione, ha mai contestato quanto descritto.

 

Sono intervenuti all’incontro Andrea Arbizzoni e Guido Giraudo (coautori del volume con Francesco Grillo, Giovanni Buttini, Paolo Severgnini). Hanno aperto l’evento l’ex senatore Paolo Danieli del Centro politico culturale “L’Officina” e Massimo Mariotti, capogruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio comunale.

50 anni fa. Colpito più volte alla testa con delle chiavi inglesi (marca Hazet da 36 mm, del peso di 3,5 kg l’una) da mani vigliacche, la sera del 13 marzo 1975 e lasciato svenuto a terra, Ramelli morì in ospedale 47 giorni dopo, il 29 aprile, alternando stati di coma e di lucidità. Questo mentre i colpevoli dell’aggressione proseguirono senza alcuna remora o rimorso le loro azioni di sprangatori. Sergio venne inumato nella tomba di famiglia nel Cimitero maggiore di Lodi.

 

.Fu un crimine particolarmente barbaro e vile, perché nessuno del  kommando rosso conosceva direttamente la vittima, già oggetto di violente angherie politiche per mesi. Il libro, secondo i due coautori, dovrebbe essere distribuito nelle scuole perché l’omicidio maturò in un “luogo del sapere”, l’Istituto “Ettore Molinari” di Milano. Non venne mai difeso da compagni di scuola, professori e preside, applicando una sorta di silenzio-assenso alle vessazioni.

 

La fase processuale iniziò il 16 marzo 1987 presso la Corte d’assise di Milano nei confronti di Claudio Colosio, Franco Castelli, Giuseppe Ferrari Bravo, Luigi Montinari, Walter Cavallari, Claudio Scazza, medici praticanti in varie discipline e studenti all’epoca dei fatti. A questi vennero aggiunti Marco Costa (che con Ferrari Bravo gestiva uno schedario contenente i dati di oltre 10mila persone considerate militanti neofascisti, di organizzazioni politico-estremiste rivali o, in ogni caso, presumibili obiettivi di attentati), Brunella Colombelli (ricercatrice, unica donna tra gli accusati), Giovanni Di Domenico (al momento dell’arresto consigliere di Democrazia Proletaria a Gorgonzola, Milano), Antonio Belpiede (capogruppo del Partito Comunista Italiano a Cerignola, Foggia). Fecero parte del cosiddetto “servizio d’ordine” d’Avanguardia Operaia nella facoltà milanese di Medicina.

 

 Il 2 marzo 1989 la II Sezione della Corte d’assise d’appello di Milano ridusse notevolmente, infine, le pene ai condannati in precedenza dalla sentenza del 16 maggio 1987: da 15 anni e 6 mesi a 11 e 4 mesi per Costa, da 15 a 10 e 10 mesi per Ferrari Bravo (Costa e Ferrari Bravo furono giudicati colpevoli materiali del crimine), da 15 a 7 e 9 mesi per Colosio, da 13 a 7 per Belpiede, da 12 a 6 e 3 mesi per Colombelli, da 11 a 6 e 3 mesi per Castelli, Montinari e Scazza.

 

 La giustizia non rese piena giustizia all’atrocità dell’atto e comminò pene ridicole, negando perfino (anche in sede di Cassazione) il riconoscimento della premeditazione all’omicidio volontario di Ramelli, in primo grado ritenuto addirittura omicidio preterintenzionale.

 

 Per assurdo, alcuni degli allora studenti di medicina colpevoli e condannati hanno scalato la carriera ricoprendo lusinghiere responsabilità professionali. Anche in questo caso, purtroppo, è stato confermato il controdetto “il delitto paga”…

 

Verona fu la prima città a dedicare una via a Sergio Ramelli (nei pressi della stazione di Porta Nuova, tra via delle Coste e piazzale Romano Guardini) su interpellanza presentata il 7 novembre 1985 in Consiglio comunale dal gruppo consiliare MSI-DN (composto da Nicola Pasetto, Roberto Bussinello e Mario Rolando). Discussa il 28 novembre seguente ed esaminata con parere favorevole dalla Commissione toponomastica il 3 aprile 1986, venne infine votata positivamente con delibera datata 24 novembre 1987. All’inaugurazione della nuova via, il 23 aprile 1988, partecipò anche la madre di Sergio, signora Anita Matilde Pozzoli. Oggi, in tutta Italia, le vie intitolate al giovane brutalmente ucciso sono 44.

 



 

Servizio e foto di

Claudio Beccalossi


 
Ultimo aggiornamento Sabato 24 Maggio 2025 20:04
 

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