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Siria - Russia / USA: ultima partita PDF Stampa E-mail
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Notizie - Mondo
Venerdì 09 Dicembre 2022 11:19


 

INDICE DOSSIER

  1. Cosa resta dell'inferno siriano
  2. La guerra segreta di Israele in Siria
  3. L’ultima partita di Russia e Stati Uniti in Siria

Dossier: L'incubo senza fine della Siria

 

L’ultima partita di Russia e Stati Uniti in Siria

INDICE DOSSIER

POLITICA /

Paolo Mauri
8 DICEMBRE 2022

​​​​​​​

La guerra in Ucraina ha relegato nel dimenticatoio un conflitto che si protrae da più di un decennio: quello in Siria. Quel teatro ha visto e vede la presenza diretta di alcuni giocatori internazionali (Russia, Stati Uniti, Turchia, Iran) che combattono il terrorismo internazionale rappresentato dallo Stati Islamico e si contrappongono reciprocamente per perseguire i propri interessi politici.

Tralasciando Ankara e Teheran, Mosca e Washington hanno finalità contrapposte che però collimano quando si tratta di neutralizzare la minaccia rappresentata dall’Is: potremmo quindi definire i rapporti tra Usa e Russia in Siria come caratterizzati da una “collaborazione competitiva“.

Per il Cremlino la Siria della famiglia Assad rappresenta un fondamentale alleato per continuare ad avere una presenza stabile nel bacino del Mediterraneo: la Russia possiede infrastrutture aeronavali (il porto di Tartus e la base aerea di Hmeimim) che le servono per avere proiezione strategica in uno di quei “mari caldi” sui quali storicamente ha cercato di avere uno sbocco sin dai tempi degli zar.

La parte nord del porto siriano di Tartus, infatti, è occupata dalla Russia sin dai tempi dell’Unione Sovietica. Un accordo del 1971 tra Mosca e Damasco ha consentito alle unità navali della Flotta Rossa di avere una base stabile nel Mediterraneo Orientale. La presenza di unità navali sovietiche a Tartus è stata più o meno una costante durante tutto l’arco della Guerra Fredda, se escludiamo una breve crisi con Damasco nel 1977 dovuta all’intervento siriano in Libano dell’anno prima condannato dal Cremlino, e anche al termine della contrapposizione in blocchi, nonostante la crisi profonda del sistema militare di Mosca, il porto russo di Tartus, benché in lento declino, restò centrale nella politica della Federazione.

 

Il presidente russo Vladimir Putin in visita alla base di Hmeimim (Foto: EPA/MICHAEL KLIMENTYEV / SPUTNIK / KREMLIN / POOL MANDATORY CREDIT)

La svolta, oltre ad essere attribuibile al cambiamento di postura del Cremlino avvenuto nell’ultimo decennio che intende ridare impulso alla sua presenza negli oceani, è avvenuta in concomitanza con l’intervento russo nel conflitto siriano. Il 18 gennaio del 2017 Mosca e Damasco hanno siglato un nuovo accordo per l’espansione e la modernizzazione della parte russa del porto di Tartus contestualmente al rinnovo del contratto di locazione per 49 anni, che sarà automaticamente rinnovato ogni 25 anni a meno che una delle due parti non notifichi, con un anno di preavviso, la volontà di rescinderlo attraverso canali diplomatici e in forma scritta. Secondo l’accordo la Russia ha a tutti gli effetti autorità legale sulle strutture del porto che le competono e le può utilizzare senza oneri economici.

Uno dei compensi, insieme all’utilizzo permanente della base aerea di Hmeimim e alla possibilità di costruirne una nuova nel nord-est del Paese, a Qamishli, per le enormi spese sostenute da Mosca durante il conflitto in Siria.

La presenza russa a Hmeimim è parimenti destinata a perdurare: recentemente, a fine 2020, Mosca ha svolto lavori di allungamento della pista di atterraggio della base e di miglioramento delle sue infrastrutture difensive, a indicare la volontà di poterla usare per i propri velivoli di più grosse dimensioni, come i bombardieri strategici Tu-95, Tu-22, i pattugliatori oceanici Tu-142 o semplicemente per usare al meglio i velivoli da trasporto pesante come gli An-124. In effetti i Tu-22M3 si sono già visti in Siria: a maggio dell’anno scorso tre di questi bombardieri strategici hanno effettuato voli di pattugliamento nel Mediterraneo Orientale armati di missili da crociera antinave Kh-32.

 

Mappa di Alberto Bellotto

Mosca è quindi intervenuta ufficialmente nel conflitto intestino in Siria a settembre del 2015 sia per tutelare i propri interessi strettamente legati alla presenza di un governo amico a Damasco, fattore messo a repentaglio sia dalla presenza dello Stato Islamico, sia dall’attività della fazioni armate ostili ad Assad che hanno cercato di rovesciarlo manu militari per instaurare un “regime democratico”, volontà che Mosca riteneva e ritiene essere stata eterodiretta da non meglio definite “potenze esterne”. La presenza del terrorismo di matrice islamica nel Levante, per Mosca, avrebbe inoltre rappresentato un fattore di rischio interno dato dalla possibilità – risultata poi evidente – che i foreign fighter dell’Is potessero operare in Russia o nel suo estero vicino, destabilizzando così un’area perimetrale della Federazione (il Caucaso e l’Asia Centrale ex sovietica) già a rischio.

Il ruolo anti Assad degli Usa

Gli Stati Uniti, già impegnati militarmente nel vicino Iraq dal 2003, hanno sfruttato la debolezza del regime di Assad per poter cercare di sovvertirlo sostenendo le milizie del Fsa (Free Syrian Army) e quelle curde, impegnate in una doppia lotta contro l’Is e le forze regolari di Damasco. Il cambio di regime in Siria avrebbe messo in grado Washington di instaurare un governo democratico controllato/sostenuto dagli Stati Uniti che avrebbe permesso di limitare/eliminare la presenza russa e iraniana in Siria e nel contempo avrebbe dato la possibilità di combattere lo Stato Islamico più efficacemente, levandogli l’accesso alle importanti risorse petrolifere nella regione che utilizza per finanziarsi illegalmente. Non è infatti un caso che, oggi, le truppe Usa in Siria siano concentrate anche a difesa di alcuni campi petroliferi nonostante la riduzione numerica voluta dalla passata amministrazione Trump.

 

Questa strategia statunitense non è cambiata: è notizia recente (11 novembre) che nel nord-est siriano, ovvero dove operano le forze della coalizione a guida statunitense, siano arrivati rinforzi che, a detta del Cremlino, servirebbero per aprire una nuova base militare.

Mappa di Alberto Bellotto

Dal 2014, gli Stati Uniti hanno condotto attacchi aerei periodici e mantenuto centinaia di truppe in Siria come parte di più ampi sforzi antiterrorismo contro l’autoproclamato Stato islamico (Is) e al-Qaeda. La giustificazione legale di queste guerre antiterrorismo, che fin dall’inizio poggiava su basi instabili, è diventata più tenue man mano che i conflitti si sono spostati, con la sconfitta territoriale dell’Is sia in Siria che in Iraq e nuovi attori che sono entrati nella mischia. In particolare, il conflitto si è esteso fino a coinvolgere le milizie sostenute dall’Iran – schierate con Damasco – che vengono colpite quasi costantemente da Israele. Il sostegno statunitense alle operazioni belliche in Siria si sviluppa direttamente e indirettamente, formando, addestrando ed equipaggiando le milizie locali, che comunque hanno avuto successi limitati, avendo come obiettivo l’attività di counterterrorism e quella anti-Assad per “stabilire le condizioni per una soluzione negoziata alla guerra civile siriana”.

La campagna statunitense siriana è dapprima cominciata utilizzando solo lo strumento aereo, successivamente, nel 2015, gli Stati Uniti hanno inviato un piccolo contingente di truppe di terra per addestrare, consigliare e assistere i gruppi curdi locali in quelle che sono diventate note come le forze democratiche siriane (Sdf) nella lotta contro l’Is.

Dal 2016, gli Stati Uniti hanno deliberatamente (ma ancora come autodifesa) e inavvertitamente preso di mira una serie di altri attori in Siria comprese le forze governative siriane, gruppi di milizie sostenute dall’Iran come Kait’ib Hezbollah e Kait’ib Sayyid al-Shuhada e contractor russi.

 

Il 6 aprile 2017, gli Stati Uniti hanno condotto un attacco missilistico sulla base aerea di Shayrat in risposta al presunto uso di armi chimiche da parte di Assad, rappresentando la prima volta che Washington ha deliberatamente attaccato le forze governative siriane. Quasi un anno dopo, nell’aprile 2018 , Stati Uniti, Regno Unito e Francia hanno condotto un secondo attacco in risposta a un ulteriore supposto utilizzo di armi chimiche da parte di Damasco. Quell’attacco ha segnato l’inizio di un atteggiamento più conflittuale tra gli Usa e il governo siriano affiancato dai suoi sostenitori.

A giugno 2017, c’erano stati una serie di scontri tra le forze statunitensi e quelle del regime, inclusi combattimenti che hanno coinvolto aerei russi e forze paramilitari iraniane vicino alla zona di deconflitto stabilita tra Stati Uniti e Russia nel 2016 intorno all’avamposto statunitense di al-Tanf, un’area nel sud-est della Siria situata strategicamente lungo l’autostrada Damasco-Baghdad. Avamposto più volte colpito anche dalle restanti milizie islamiche.

Se recentemente, anche per il crescente intervento iraniano, i rapporti tra la Coalizione e il comando russo/siriano sono andati deteriorandosi, ci sono stati dei casi in cui le forze russe, in particolare l’aviazione, sono intervenute a sostegno del Fsa, ovvero dei “ribelli” armati e addestrati dagli Usa: questo si spiega pensando che la strategia del Cremlino è duplice, ovvero non solo sostenere il regime di Damasco ma eliminare la presenza di Is e al-Qaeda. Al momento l’approccio dell’amministrazione Biden in Siria non sembra essere molto diverso da quello dei suoi predecessori.

I quattro obiettivi di Washington

 

Dopo aver concluso una lunga revisione politica, Washington ha indicato che l’amministrazione ha quattro obiettivi: ridurre la violenza, mantenere la pressione sull’Is attraverso la presenza militare nella Siria orientale, affrontare la crisi umanitaria e sostenere il diritto di Israele a difendersi (riferendosi quindi alla presenza iraniana). Questo sostegno a Tel Aviv si è più volte esplicitato in modo diretto: ad agosto di quest’anno l’aviazione statunitense ha bombardato posizioni ritenute essere del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (o pasdaran) nel nord-est del Paese.

Da non sottovalutare nemmeno che la presenza di truppe statunitensi in quel particolare settore, previene la possibilità che le forze turche mettano in atto operazioni più incisive contro i curdi.

Sebbene Stati Uniti e Russia siano avversari localmente, e globalmente, abbiamo affermato che la loro sia una “collaborazione competitiva” in quanto entrambi, in Siria, hanno l’obiettivo di eliminare la presenza delle milizie estremiste islamiche: ci sono state, infatti, le occasioni di fraternizzazione tra soldati delle opposte fazioni e, in ogni caso, Mosca e Washington mantengono contatti regolari a livello militare in Siria, anche in questa particolare fase di scontro determinata dal conflitto in Ucraina, nel quadro di controllo dell’escalation.

Conflitto che ha intaccato, almeno in parte, la presenza russa nel Paese: sappiamo che i contractor del Gruppo Wagner hanno ridimensionato la loro presenza in Siria e che Mosca ha ritirato una batteria di S-300 insieme a un contingente di truppe regolari che ammonta a circa 1200 uomini, come riferiscono i servizi di intelligence israeliani.

 

Fonte: https://insideover.ilgiornale.it/politica/lultima-partita-di-russia-e-stati-uniti-in-siria-dossier.html

 

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