Template Tools
Venerdì, 29 Marzo 2024
Leonardo Cohen ... un genio! PDF Stampa E-mail
Valutazione attuale: / 0
ScarsoOttimo 
Notizie - Cultura
Mercoledì 23 Febbraio 2022 21:03

 

Cosa è stato Leonardo Cohen nel mio viaggio e nel percorso itinerante del mio vivere la letteratura e in essa la poesia?
Io vivrò la vita consumando la storia perché di storia non si vive. Io vivrò la vita custodendo il destino degli amanti. La poesia è una musica degli amori. Leonard non c’è più.
Senza la presenza di Leonard Cohen la canzone – poesia italiana non avrebbe avuto il percorso e la dimensione metafisica e metastorica che ha vissuto e che ha disegnato all’interno dei linguaggi. Leonard Cohen non è stato un cantautore.  È stato un poeta, uno scrittore, un autore che ha creato atmosfere musicali e tendenze letterarie – musicali, un creatore di linguaggi tra le forme e le percezioni.


Ho avuto modo di conoscere Leonard tardi, al Foro Italico a Roma nel 2013, (il suo concerto è stato il 7 luglio). Anche se ho spesso lavorato sui suoi testi e soprattutto in un saggio su “Cohen e Pavese: Immensi e tragici”, che resta riferimento per relazionare poesia e canzone.
Ha sempre inserito nei suoi testi il suo vero, il suo esistere, il suo essere nel tempo. Ogni sua testimonianza o tentazione o attrazione o ricerca è stata una sottile penetrazione di vita e di riflessione in un viaggio in cui la comparazione tra tempo e morte ha segnato il suo sentiero di uomo. Mai una riflessione in meno. Sempre una parola in meno. Mai un pensiero leggere. Sempre un pensiero nel solco delle esistenze. I suoi testi sono stati tradotti e cantati e recitati, imitati e copiati, citati e sottolineati.

Certo, Fabrizio De André non sarebbe stato il De André che abbiamo conosciuto con “Suzanne” e con “Giovanna d’Arco”, ma ciò non è mica poco. De Gregori senza la sua Alice avrebbe avuto il successo che ha avuto? Anche Vecchioni è dovuto ricorrere a Cohen.

Leonard Cohen (nato a Montreal il 21 settembre del 1931 e morto a Los Angelis a 82 anni) resta il principio di un testo che va recitato e la cui musicalità è all’interno della parola. Ha insegnato a recitare e cantare cercando il ritmo nella parola. Chiaramente è una questione omerica e pre-omerica, ma senza la immersione nel testo di Leonard non ci saremmo resi conto che anche nella modernità sarebbe stato possibile dare il cantico e la voce ai linguaggi.

In fondo De André comprende immediatamente questo intreccio e nella sua voce, si pensi anche a “Nancy”, c’è il cantilenare medioevale delle ballate che recuperano il senso della favola raccontata. Cohen è un poeta ma resta fondamentalmente il tragico che attraversa il senso di solitudine e si ascolta come silenzio. Non si lascia ascoltare. Si ascolta. In ogni suo ascolto si vivono rimandi letterari. Rimandi che non sono copiature, bensì assorbimenti di una struttura metafisica che è stata sempre presente nei suoi scritti.
È metafisico è il suo accostarsi ad uno spiritualismo religioso e filosofico che è il buddismo. Ha saputo viaggiare tra le immagini Illuminanti e Illuminate del buddismo senza mai cedere al richiamo di una teologia della perdizione.

Pur nella sua esasperante lucidità di accostarsi al tema della morte e del tempo è riuscito ad attraversare le dimensione della assenza e dell’attesa. I suoi testi, infatti, con gli scritti narrativi, sono una costante messa in scena del pensiero che diventa nicciano sul piano tragico, e sgalambriano in termini di disincanto. Il tragico e il disincanto sono due concetti forti di una filosofia del “malessere” o meglio del “mondo pessimo” nel quale ci si trova a vivere.

Da questo punto di vista c’è un distacco evidente tra la sua formazione e quella dei “menestrelli” italiani. Uso il termine menestrello con grande e positiva ironia perché la vita recitata e cantata con gli istrioni e con i menestrelli è possibile catturarla oltre il bene e il male. Ma in Cohen c’era e c’è stata una formazione non solo letteraria, ma anche filosofica che si è poi trasformata, appunto, nel suo cammino verso il buddismo. Proprio lungo questa via osserva gli Orienti che parlano il linguaggio del silenzio e della luce: “C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce”. La luce sempre apre le feritoie.
Storie diverse sono nei De Gregori e anche in De André (il più colto dei poeti che hanno recitato in musica). Cohen è parte dell’orizzonte del mondo di Jacques Brel e George Brassens. Poeti che hanno tracciato percorsi lirici – onirici anche in Italia. Parte del cammino di Bob Dylan è dentro questo viaggiare.

Comunque tra quest’ultimi che ho citato e Cohen ci sono trattini da sottolineare. Cohen resta completamente dentro la letteratura e fa della letteratura una trincea per le coscienze. Parlo di letteratura nelle sue varie articolazioni. Brel e Brassen sono dentro la poesia e la poetica è il tutto come con Dylan che, sostanzialmente, trasforma anche i linguaggi espressi dalla poesia francese.
Ma Cohen ci mette dentro la metafisica e quando dice: “Di solito tendo alla tristezza. Per alcune canzoni ho impiegato diversi anni. Nessuna di essa è stata un parto facile, dopo tutto questo è il nostro lavoro.
Tutto il resto va spesso in malora, in bancarotta totale, e così quel che rimane è il lavoro, ed è quello che faccio per tutto il tempo, lavorare, creare l’opus della mia vita. Il nostro lavoro è l’unico territorio che possiamo governare e rendere chiaro. Tutte le altre cose rimangono confuse e misteriose”, non fa altro che individuare il pavesiano “mestiere” di vivere nel mestiere di scrivere.
La scrittura diventa la vita e la vita non avrebbe senso senza la scrittura. La sua metafisica è nella famosa frase: “Vorrei dire tutto ciò che c’è da dire in una sola parola. Odio quanto possa succedere tra l’inizio e la fine di una frase”. Consumare le parole nella indissolubilità è creare la morte della parola.
L’incastro estetico di Cohen è fondamentale.

Si pensi che a questo concetto contrappone dei versi potentissimi che recitano: “Se questo è il tuo volere / che io cessi di parlare/che la mia voce sia muta/com’era un tempo,/io non parlerò più/resisterò fino a che/si parli per me,/se questo è il tuo volere”. L’amore, la sensualità, la sessualità, il corpo sono non il guscio della conchiglia. Sono la conchiglia per usare una metafora. Senza la sessualità l’amore è un codice da decifrare in un rapporto tra amanti. L’essere amanti è offrirsi con il corpo e con la passione dell’anima. Altrimenti non avrebbe senso essere amanti.
Il sesso è la conquista del cuore. Ma il cuore non entra nell’anima senza la sessualità. Gli amanti si amano mai con la testa. Si amano con il corpo e con la passione che invade l’anima: la sensualità.
Nel momento in cui la sessualità smette di essere attrazione l’essere amanti diventa vano e diventa altro. Io concordo perfettamente con Cohen e non ha mai avuto reticenza nell’esprimere i concetti di piacere e di morte. Gli amanti muoiono nel momento in cui muore l’attrazione tra i corpi.
Abbandoniamo le ipocrisie e viviamo la vita: “Quando sono furioso,sorrido, imbroglio e dico bugie. Faccio quel che devo fare per andare avanti”. Bisogna pur andare avanti diceva in suo testo Charles Aznavour.
Già, perché la vita è fatta di scrittura per un istrione artista e di sesso, di amore e di contemplazione, di penetrazione di tempo e di pugni alla morte.

La vibrazione del suicidio è latente in Cohen, ma bisogna vincerlo con il disincanto. Disincanto!
“Ti ho vista stamattina, sei passata in un lampo, mi sembra di non riuscire ad allentare la presa sul passato e mi manchi tanto. Non c’è nessuno all’orizzonte e noi continuiamo a fare l’amore nella mia vita segreta”. Ognuno di noi ha una vita segreta. Pur nella segretezza ogni tanto bisogna cercare di essere onesti e mai truccare le carte. La letteratura non è il magico labirinto soltanto. È la soppressione delle parole per dare la forza al silenzio di trasformarsi in linguaggio. Leonad Cohen, certo, un maestro. Un maestro sottile nel raccogliere le attrazione e gli amori che fanno della vita la passione del vivere: “Il vero amore non lascia tracce/ Se tu e io siamo una cosa sola /Si perde nei nostri abbracci /Come stelle contro il sole/ Come una foglia cadente può restare/ Un momento nell’aria /Così come la tua testa sul mio petto/ Così la mia mano sui tuoi capelli /E molte notti resistono/ Senza una luna, senza una stella /Così resisteremo noi /Quando uno dei due sarà via, lontano”. Certo, io devo tanto a Leonard Cohen.
Devo, in modo particolare, la consapevolezza di non sostituire mai un linguaggio con un altro. I linguaggi sono il terreno sul quale si poggia l’anima, quell’anima che non può essere vagante e per gli scrittori diventa poesia e cenere. Perché un poeta, e lo scrittore – poeta, sa sempre che “La poesia è la prova della vita. Se la tua vita arde, la poesia è la cenere”.

Ed ora? Non ci sono conclusioni. Mai potranno esserci conclusioni. La vita è sempre incompiuta. Gli amori finiscono. Gli amori concludono il tempo degli amanti.
Ed è così che si abita il suo linguaggio:
"Questo è per te
è il mio intero cuore
è il libro che ti avrei letto
quando fossimo stati vecchi
Adesso sono un’ombra
Sono senza pace come un impero
Tu sei la donna
che mi ha reso libero
Ti ho vista guardare la luna
Non hai esitato
ad amarmi con essa
Ti ho vista onorare gli anemoni
colti tra le rocce
mi hai amato con essi
Sulla sabbia liscia
tra i ciottoli e la spiaggia
mi hai accolto nel cerchio
meglio ancora di come si accoglie un ospite".

Pierfranco Bruni

 

Ultime Notizie

“TARANTO OLTRE LE MURA”
Mercoledì 13 marzo 2024, ore 17 Dipartimento Jonico dell’Università... Leggi tutto...
Artevento Cervia
SAVE THE DATE ... Leggi tutto...
W - Festival della letteratira
Gli scrittori italiani a Vienna per il Festival della Letteratura di Arturo... Leggi tutto...
IL GIALLO DEL TOUR
  IN LIBRERIA   IL GIALLO DEL TOUR Trionfi e tragedie, segreti e... Leggi tutto...
Scendeva simile alla notte
Mostra personale di  LORENZO BRUSCHINI ... Leggi tutto...

Rivista La Gazzetta

 
Edizione 41
La Gazzetta 41
 

40 | 39 | 38 | 37 | 36 | 35 | 34 | 33 | 32

31 | 30 | 29 | 28 | 27 | 26 | 25 | 24 | 23

22 |