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Fu dono nel 1936 del Vescovo dell'Aquila Manuelli a Benito Mussolini PDF Stampa E-mail
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Notizie - Cronache
Giovedì 15 Dicembre 2016 14:09
Dono a Mussolini

UNA COPIA DELLA MADONNA DEL POPOLO AQUILANO ORNA ANCORA LA CATTEDRALE ETIOPE DI ADDIS ABEBA


 

di Amedeo Esposito


Madonna del Popolo aquilano, al centro della foto, dopo il restauro

 


 

L'AQUILA - Custodita per secoli nella distrutta chiesa di San Marco, il dipinto originale della Madonna del Popolo aquilano (Salus populi aquilani) ha trovato collocazione, dopo il restauro, nel rinnovato tempio del Valadier, dedicato alla Madonna del Suffragio e denominata delle Anime Sante, in piazza Duomo.


 

Restauro dovuto a don Daniele Pinton che a Natale prossimo, al suono del Requiem di Mozart diffuso in tutta la grande piazza aquilana, farà risplendere in tutta armonia la facciata della sua Chiesa, costruita dopo il 1703, per dire al mondo, e in particolare al Governo francese che ha finanziato il restauro, che L’Aquila sta rinascendo anche sul piano spirituale.


 

Don Pinton, nel presentare l’originale della Madonna, ha anche sottolineato che vi sono altre due copie dello stesso dipinto. Una portata nel 1728 – pensate – nel romitorio dei cappuccini a Vienna, per volere dell’imperatore Carlo IV; la seconda è esposta nella Chiesa di Santa Maria di Vezzolano in provincia di Asti. Una terza copia da 80 anni (1936) orna la cattedrale etiope dedicata alla ”Natività della Beata Vergine Maria” di Addis Abeba, allora terra coloniale italiana. 


 

Quest’ultima copia fu dono di ringraziamento personale  del vescovo aquilano del tempo, Gaudenzio Manuelli, a Benito Mussolini che aveva contribuito, con personali esborsi, alla costruzione della chiesa del XX secolo di Cristo Re, nel quartiere della Villa comunale dedicato ai gerarchi fascisti aquilani.


 

In particolare “il Duce fece il più cospicuo e gradito dono dell’imponente statua di bronzo di Cristo Re, col grandioso altare di travertino e di metallo, e colla maestosa croce di alabastro”, come si legge nel numero unico di “Aquila sacra, nella storia e nell’arte” del 1935.

Mussolini versò 30.000 lire, prelevandole dal suo conto personale, direttamente nelle mani dello scultore Ulderico Conti che realizzò le grandiose opere ancora oggi ammirate per la loro bellezza e raffinatezza, da tutti riconosciute.


 

Due anni più tardi dalla costruzione della chiesa di Cristo Re, monsignor Manuelli volle ricambiare il dono:

 <La Madonna del popolo aquilano in Africa Orientale - si legge sul “Corriere d’ Abruzzo - foglio d’ordine della federazione aquilana dei fasci di combattimento, anno primo n°7 del 17 ottobre XIV (1936)” -  L’Arcivescovo mons. Gaudenzio Manuelli, in una solenne cerimonia, ha impartito la benedizione al quadro della Madonna del Popolo aquilano - custodito nella Chiesa di S. Marco - che è una copia fedele, in oro e argento, di quella che si venera in detta chiesa, destinato alla prima chiesa cattolica di Addis Abeba. Il quadro, è stato portato in processione lungo le principali vie della città, e montato su un carro di artiglieria alla stazione ferroviaria diretto a Napoli...Il giorno dopo Mons. Manuelli con una commissione si è recato a Napoli per accompagnare fino al porto il quadro benedetto”. Che, su una nave militare, raggiunse il luogo di destinazione.


 

Perché tanta riconoscenza di Manuelli per il suo personale amico Mussolini? Le cronache riferiscono che la realizzazione della grande statua del Redentore, nella maestosità che sappiamo, fu “riparazione” dell’affronto che i cattolici dell’Abruzzo, e non solo, subirono 34 anni prima, in occasione del giubileo del 1900, da parte dell’amministrazione civica laica (socialisti, massoni e repubblicani). La quale si oppose fermamente (ideologicamente, s'intende, perché allora non si parlava di ambientalismo) alla Conferenza Episcopale Abruzzese che avrebbe voluto, secondo un preciso e quasi finanziato progetto, issare sul Corno Grande del Gran Sasso un’analoga statua bronzea, pari a quella che dal 1931 svetta dal massiccio del Corcovado e “abbraccia” la baia di Rio de Janeiro.  


Fonte:
Goffredo Palmerini
 

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