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Notizie - Mondo
Venerdì 23 Settembre 2016 17:39

Trump è per il pugno duro, la Clinton per l'educazione Ma il rush finale si giocherà su Isis e immigrazione

Livio Caputo  - ilgiornale.it

«It's the economy, stupid». Con questo ormai famoso slogan, Bill Clinton riuscì nelle ultime settimane della campagna elettorale del 1992 a focalizzare il dibattito politico sull'andamento dell'economia e, contro tutte le aspettative, a sconfiggere un George Bush sr.

appena uscito vincitore dalla prima Guerra del Golfo. Parimenti, nel 2008 Barack Obama batté il candidato repubblicano John McCain soprattutto perché una maggioranza degli elettori si era infatuata dell'idea di eleggere per la prima volta un presidente nero. Molto spesso le presidenziali americane sono state decise, magari proprio nel rush finale, da un particolare tema: e gli attentati degli ultimi giorni nel Minnesota, a New York e nel New Jersey fanno supporre specie se avessero un seguito - che quello dominante nel 2016 potrebbe essere proprio il terrorismo islamico. Il dilemma non risolto è quale dei due candidati, che oggi sono dati dai sondaggi quasi alla pari, beneficerebbe di una simile svolta.

Fin qui Trump ha usato l'accetta, facendo proposte inaccettabili in tempi normali, ma un po' meno in un'emergenza: chiudere le porte a tutti gli immigranti musulmani, porre sotto speciale sorveglianza le comunità islamiche già residenti nel Paese, fare una rigorosa selezione dei profughi da ammettere, colpire anche le famiglie dei terroristi (un po' secondo il modello di Israele) e naturalmente accusando sia Obama, sia la Clinton di colpevole debolezza. Egli non ha tuttavia avanzato alcun piano specifico per prevenire nuovi attentati, se non una stretta dei controlli su tutti coloro che entrano negli Stati Uniti, che sarebbero magari utili per prevenire un nuovo 11 settembre, ma servirebbe a poco per fermare i musulmani naturalizzati americani come Ahmed Khan Rahani. Ha tuttavia portato acqua al suo mulino la rivelazione che il padre del bombarolo lo aveva denunciato già sue anni fa come un pericoloso jihadista e che nonostante due viaggi sospetti in Pakistan e in Afghanistan l'Fbi non abbia poi fatto nulla per tenerlo sotto controllo.

La Clinton ha cercato immediatamente di sfruttare gli avvenimenti sia per accusare Trump di essere, con il suo atteggiamento razzista, «il migliore reclutatore di terroristi» (che a suo dire pregherebbero addirittura per una sua vittoria), sia per sottolineare la maggiore razionalità del suo approccio. Hillary si trova nella insolita posizione di essere il primo candidato democratico alla presidenza a godere di maggiore fiducia da parte dell'establishment militare e dei servizi del suo rivale repubblicano, che importanti esponenti del suo stesso partito, dall'ex segretario alla Difesa Gates all'ex Segretario di Stato Powell, considerano inaffidabile come eventuale «comandante in capo». Secondo lei, per combattere la radicalizzazione dei giovani musulmani di seconda generazione che al momento sembrano costituire la principale minaccia per la sicurezza, non basta un'attenta sorveglianza, ma ci vuole anche un'opera di educazione affidata a imam moderati; rifiuta invece qualsiasi generalizzazione, qualsiasi discriminazione nella selezione dei profughi e ritiene ogni intervento radicale controproducente. Tuttavia, secondo il New York Times che pure la sostiene, anche lei è stata colta un po' di sorpresa dagli eventi e non ha un piano organico con cui rispondere efficacemente allo slogan che Trump ha preso in prestito da Reagan «Facciamo l'America di nuovo grande».

Molti temono che, se questo dibattito dominerà davvero la scena, finisca con l'intrecciarsi con un altro tema non meno inquietante: la spaccatura tra le varie etnie. Dagli ultimi sondaggi risulta che il seguito di Trump continua ad aumentare presso i maschi bianchi, non solo operai che hanno perso il lavoro a causa della globalizzazione ma anche esponenti della classe media che avvertono una minaccia per la loro posizione di preminenza. La Clinton, al contrario, affida le sue speranze di vittoria all'appoggio della stragrande maggioranza dei neri e degli ispanici. É vero che Hillary gode ancora delle simpatie di una maggioranza di donne bianche, che a differenza dei loro mariti la sostengono come primo potenziale presidente di sesso femminile, ma esiste egualmente il pericolo che, alla fine, le elezioni si traducano anche in uno scontro razziale, che potrebbe avere pesanti conseguenze a lungo termine.
 

 

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