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Reperti archeologici rinvenuti in Calabria PDF Stampa E-mail
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Notizie - Regione Calabria
Venerdì 18 Settembre 2015 09:51
Ritrovamento di cocci di varia fattura e datazione alla base dell’antica Torre “Parnaso”, vicino al paese costiero di Joppolo (Vibo Valentia) –
Il materiale è stato consegnato al comandante della Polizia Municipale di Nicotera, alla presenza del sindaco e dell’assessore alla Cultura del Comune
 
Joppolo/Nicotera (Vibo Valentia) – Forse non sarà stata una scoperta altrettanto eclatante come quella del romano Stefano Mariottini quando, il 16 agosto 1972, nel corso di un’immersione subacquea nel mar Ionio (a circa 300 metri al largo di Riace), scoprì ad una decina di metri di profondità le statue passate alla storia come “i bronzi di Riace”, ma anche quanto da me rinvenuto casualmente in Calabria, pur con le debite proporzioni, farebbe ipotizzare maggiori rivelazioni archeologiche. Si tratta di numerosi frammenti di terraglia, dalle fatture ed epoche diverse, recuperati alla base dell’antica Torre di guardia e di difesa “Parnaso” (o “Torre di Joppolo”), quasi a picco sulla Costa degli Dèi (tratto di sponda del mar Tirreno meridionale, il cosiddetto “corno di Calabria”) e nei pressi, appunto, dell’abitato di Joppolo e sotto giurisdizione di Nicotera (“Città della dieta mediterranea di riferimento”), ambedue comuni della provincia di Vibo Valentia.
 

 L’ingresso al comune di Nicotera dalla sottostante Nicotera Marina (foto sopra) 
 
Joppolo, nonostante sia affacciato al mare (sul golfo di Gioia Tauro, nell’antichità noto come golfo dell’Aria), fa parte della Comunità Montana dell’Alto Mesima (con gli abitati di Acquaro, Arena, Dasà, Dinami, Gerocarne, Pizzoni, Sorianello, Soriano Calabro e Vazzano). È un comune ad alta sismicità ed a 177 m s.l.m. che, stando a dati Istat, Istituto nazionale di statistica, al 30.09.2012, contava 2.052 abitanti, con una componente straniera (al 31 dicembre 2010, sempre in base all’Istat) formata da 106 persone (tra cui 57 della Romania e 9 della Serbia). Le sue frazioni sono Caroniti, Coccorinello (con la sua area archeologica), Coccorino e Monte Poro. Il comune di Joppo-lo non sarebbe stato esente da presunto malaffare: il 6 febbraio 2014, infatti, il Consiglio dei Ministri l’ha sciolto per infiltrazioni della ‘ndràngheta (organizzazione criminale calabrese di radice mafiosa), secondo l’ex art. 143 del Tuel (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali), con provvedimento annullato il 5 giugno 2015 dal Tar (Tribunale Amministrativo Regionale) del Lazio ritenendo non fondati gli elementi a supporto dello scioglimento e reintegrando, di conseguenza, gli amministratori locali che avevano opposto ricorso.
 Attorno a Joppolo, posto su una rupe tufacea alle falde del monte Poro, s’alternano uliveti, aranceti, perfino banani, oltre agli immancabili fichi d’India ovunque. Nei pressi s’aprono pure cave di porfido e di granito e, provenendo da Nicotera, s’incappa in un’antica fonte di acque sorgive a più canali. Il nome della località deriva da Artemidoro Joppolo, capitano d’origine siciliana al quale Carlo d’Angiò affidò, intorno al 1300, la difesa di questo tratto di costa e che, dopo aver individuato il luogo più congeniale alla sorveglianza dallo Stretto di Messina a Capo Vaticano, fece edificare su un’altura il castello, primo nucleo abitato. Il borgo originario fu raso al suolo dal terremoto del 1783 mentre nel 1811 divenne comune autonomo.
 
 Eretta probabilmente dagli spagnoli tra il XIV ed il XV secolo (secondo alcune fonti) o nel XVI secolo (stando ad altre), la Torre “Parnaso” assolveva funzioni d’avvistamento e di tutela da incursioni turche e piratesche (responsabili di saccheggi e d’incetta di prigionieri da far schiavi) e quale componente del sistema difensivo costiero del Regno di Napoli. Dando retta a traballanti riferimenti storici, la torre era una delle tre sorte per accudire soprattutto Nicotera, spesso attaccata dalla pirateria musulmana: un secondo torrione era situato in località Santa Maria dell’Agnone ed un terzo stazionava a Capo San Pietro ma, di questi ultimi, non rimane traccia.
 
 
 
La Torre “Parnaso” a strapiombo sul mare

La struttura “Parnaso” era affidata ad un “torriere” che si rapportava con la torre a Santa Maria dell’Agnone con segnali specifici. Aveva ai suoi comandi una squadra di “cavallari” incaricata di tenere sott’occhio il tratto di costa affidato, avvisando prontamente di eventuali pericoli con il suono del corno o con colpi d’archibugio. I “torrieri” fissi venivano nominati dall’ispettore generale di tutte le coste marittime del Regno di Napoli che, una volta all’anno, ispezionava le torri per verificarne la funzionalità. 
 
 
 
Lo stato d’abbandono del manufatto in pietra locale



La scala in pietra d’accesso alla Torre “Parnaso”
 
Detta “cavallara” perché atta ad ospitare la sentinella a cavallo pronta a cavalcare in caso d’emergenza, la Torre “Parnaso” è di forma circolare e fu innalzata con materiali (marmo grigio autoctono) che potessero affrontare l’artiglieria nemica e le burrasche provenienti dal mare. Sono ancora visibili sul lato esposto alla scogliera, infatti, le tracce dei colpi sparati dalle navi turche. Dell’originale cinta merlata restano pochi elementi, protesi al mare ed a secolari intemperie. Anche il cannone che, un tempo, dava una certa sicurezza, è sparito, prelevato dagli inglesi durante la loro occupazione. La scala d’accesso consentiva alla sentinella di prestar servizio e d’attizzare il fuoco indispensabile per dare l’allarme, di notte, all’avvistarsi di imbarcazioni ostili. 
 
La Torre “Parnaso” si compone di due livelli divisi da un cordolo di granito lavorato. La parte inferiore raggiunge i 5 metri d’altezza ed è a forma di tronco di cono rastremata verso l’estremità. La sezione superiore, cilindrica, misura 5,60 metri. Dal primo piano era possibile salire alla cima tramite una scala ottenuta all’interno del muro perimetrale.
Purtroppo, nonostante il resistere nei secoli del massiccio assetto murario, la torre si trova oggi in un deprecabile stato d’abbandono e di rovina, con parti già crollate o fatiscenti, l’accesso interno interdetto da un’ordinanza del comune di Nicotera ed un circondario ormai inselvatichito. Lasciata al suo destino sia per negligenti “politiche” di salvaguardia e valorizzazione che per mancanze di fondi nelle casse di chi dovrebbe intervenire per competenza (e forse, con un pizzico di malizia, anche per vecchie dispute d’appartenenza territoriale tra i comuni di Joppolo e di Nicotera od ancora per retroterra di scioglimenti dei due comuni per infiltrazioni mafiose), è raramente visitata con le debite cautele ed a proprio rischio e pericolo dagli appassionati di turno. Ed io, in vacanza da quelle parti e per il mio solito ficcanasare, non potevo esimermi dall’andar a curiosare tra torre e scogliera sul mare.
 
Per fotografare il suggestivo panorama ed i vari particolari del manufatto in pietra locale, mi sono avvicinato alla base, rinvenendo nel terreno di superficie dei pezzi di vasellame chiaramente antichi. Un modesto saggio di scavo nel suolo con un’asta di ferro reperita sul posto, poi, ha permesso l’ulteriore riaffiorare d’una consistente quantità di cocci di presumibili anfore, vasi o contenitori in terracotta di vari spessori, misura, qualità e datazioni. Elementi che meriterebbero (se non imporrebbero) una minima e strutturale campagna di scavi ufficiale che forse porterebbe, considerati i presupposti, ad interessanti risultati. 
 Dopo averli raccolti, fotografati e ripuliti alla meglio, ho portato i reperti alla Polizia Municipale di Nicotera, comune su cui gravita amministrativamente la Torre “Parnaso”. Il comandante in persona del Corpo, Gregorio Milidoni, ha redatto e firmato il verbale di consegna, dopo che erano sopraggiunti nell’ufficio per informarsi sul ritrovamento il sindaco di Nicotera, avv. Franco Pagano e l’assessore alla Cultura, dott.ssa Mariella Calogero. Amministratori che m’hanno ringraziato per quanto loro affidato, in seguito girato al locale Museo archeologico per le opportune valutazioni. Il museo ha sede nel castello della cittadina, accanto agli uffici della Polizia Municipale e del Comune. Conserva testimonianze trovate soprattutto in tombe e risalenti al Paleolitico ed al Neolitico, oltre a bronzi, ceramiche e vasi di terracotta greci e romani.
Che tutto, zampino veronese compreso, serva all’avvio di ricerche che porterebbero inevitabilmente, quale effetto collaterale, al salvataggio in extremis della claudicante Torre “Parnaso”?

 
 
Claudio Beccalossi
 
 
 
 
Il saggio di scavo ed i reperti recuperati e consegnati alla Polizia Municipale di Nicotera.
 
 
 
 
Il verbale di consegna dei reperti archeologici redatto e firmato
dal comandante della Polizia Municipale di Nicotera.
Ultimo aggiornamento Giovedì 24 Settembre 2015 16:31
 

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