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STEFANO L. DI TOMMASO: "IL QUANTITATIVE EASING NON PUÒ RISOLVERE TUTTI I PROBLEMI" PDF Stampa E-mail
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Notizie - Opinioni
Martedì 03 Febbraio 2015 14:12

Molti commentatori scrivono in rete e sui giornali che il Quantitative Easing non risolverà un bel niente dei problemi che abbiamo e concludono dicendo che sarà soltanto un grosso regalo alla rendita finanziaria

Esistono inoltre problemi tecnici che fanno sì che la manovra risulti più o meno efficace, a partire dall'intensità della stessa.
Certo negli Stati Uniti d'America l'operazione ha effettivamente portato dei frutti, ma ricordiamoci che è durata un quadriennio e la cura somministrata aveva dosi da cavallo!
Ai detrattori che vedono le numerose fregature insite in questa manovra (che peraltro deve ancora essere applicata per la prima volta in Europa) io rispondo che nelle loro obiezioni c'è un fondo di verità ma esse non sono tutta la verità.

Per spiegarlo occorre raccontare i fatti: dopo la crisi del 2008 la liquidità disponibile si è palesemente ridotta creando problemi alle industrie e ai commerci nonchè ai servizi rivolti ad entrambi (cioè l'economia reale). La gente ha iniziato a guadagnare meno e a perdere soldi in conto capitale perché gli immobili sono scesi di valore e gli investimenti si sono bloccati e ovviamente l'economia reale ha iniziato una recessione più o meno forte in funzione della solidità di ciascun Paese, del fatto che lo Stato le tasse le chiedeva ugualmente (anzi: in misura crescente) e in funzione della capacità di diversificare le vendite su altre nazioni che avevano meno problemi. L'Italia perciò si è presa la peggiore delle recessioni e il più alto effetto occupazionale, che a sua volta ha ulteriormente depresso i consumi.
La rigidità dei fattori produttivi e fiscali di fronte alla crisi dei redditi ha inoltre provocato una fuga generalizzata dei capitali dal nostro Paese che ha accentuato la caduta dell'occupazione, degli investimenti e dei servizi pubblici.

Da quel momento le banche hanno avuto un doppio effetto: da un lato hanno perduto ingenti somme in conto capitale per crediti non rimborsati e dall'altro hanno ampliato i loro redditi e azzerato la competizione tra loro.
Le banche centrali le hanno poi sostenute in vari modi facendole guadagnare per evitare il collasso del sistema finanziario ma a quel punto si è divaricata la tendenza: da una parte l'economia reale ha continuato a soffrire e dall'altra la finanza ha creato di nuovo un'enorme bolla di liquidità che non si riversa sulla prima perché i criteri per prestare denaro si sono decisamente ristretti. Le banche centrali insomma nell'immettere liquidità hanno favorito le loro protette (le banche) e indirettamente gli altri intermediari finanziari connessi al sistema bancario (gestione del risparmio, parabancario, investment banking, private equity, ecc...) e non hanno lavorato alla soluzione delle necessità di industria e commercio. Non hanno potuto/voluto alimentare gli investimenti infrastrutturali e non hanno potuto alimentare le casse degli Stati sovrani che hanno continuato ad essere famelici in virtù dei costi della classe politica e della base di consenso di quest'ultima: il welfare (assistenzialismo) che aveva più senso quando avanzavano risorse fiscali e come forma di perequazione nei confronti delle classi più deboli. L'uso indiscriminato del welfare e il mancato ridimensionamento della spesa pubblica (praticato attraverso una tassazione crescente) ha invece spiazzato sempre più l'economia reale e con essa le basi reali del benessere del sistema economico occidentale.
Nessuna manovra monetaria può risolvere quel problema!

Possiamo affermare dunque che l'immissione di liquidità nei confronti delle banche non si trasmette facilmente all'economia reale ma resta pur sempre necessaria per vari scopi: a) contrastare la radice del problema che si è scatenato nel 2008 (distruzione di massa monetaria e crisi di fiducia), b) consentire ai soggetti "migliori" di trovare più risorse dal mercato bancario ma anche da quello dei capitali, c) aiutare a "monetizzare" il debito pubblico, riducendone i rendimenti e annacquandone il valore finale, cosa quantomai necessaria quando l'alternativa consiste nella bancarotta di Stato.

MORALE: è vero che la riduzione dei rendimenti finanziari comporta un impoverimento delle rendite e delle pensioni private, ma è anche vero che la recessione economica non possono vincerla le sole banche centrali. Come dimostrano numerosi studi infatti la ripresa arriva quando la gente riprende fiducia sulle sorti dell'economia, mobilita e fa tornare i capitali in patria e dunque ritorna a investirli, occupando più persone e, alla lunga, pagando più redditi da lavoro e un maggior gettito fiscale (che viene sempre per buona parte redistribuito ai più deboli).
Questa fiducia nel futuro non potranno mai crearla da sole le banche centrali, sebbene possano fare cose che vi contribuiscono come è successo in America.

Per certo peró notiamo due o tre aspetti irrinunciabili della crisi e delle cure che ne conseguono:
1) Dopo la crisi nulla è come prima: qualcuno vince e altri perdono, qualcuno sopravvive e altri chiudono o cambiano radicalmente;
2) senza un incremento della moneta in circolazione le cose sono più difficili e poi se gli Stati vanno in bancarotta la redistribuzione di ricchezza che essi operano si blocca e arrivano le grandi depressioni;
3) se parallelamente alle iniziative delle banche centrali il sistema politico è quello industriale non si adattano e non si elasticizzano agli alti e bassi dell'economia in tempo di crisi la ripresa anche se arriva resta lentissima e viene paurosamente depauperata da quella crisi di sfiducia che genera la fuga dei capitali e la discesa dei valori dei beni (altrimenti detta deflazione).                                                            

Maurizio Compagnone
Segretario Organizzativo
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